di Roberto Loddo
dal Manifesto sardo
Giugno è iniziato con il rumore dei caschi degli operai sbattuti con
rabbia sui muri del palazzo della Regione. Un rumore assordante che ha
accolto l’arrivo di migliaia di lavoratrici e lavoratori provenienti da
tutta l’isola per partecipare alla manifestazione dei cassaintegrati
di tutte le categorie produttive. Una manifestazione vivace e colorata,
per protestare contro il blocco delle indennità di cassa integrazione,
convocata sotto il palazzo della presidenza della Giunta in viale
Trento, e che ha accompagnato la riunione di Cgil, Cisl e Uil con
l’assessore al lavoro Liori. All’ordine del giorno, l’esaurimento delle
risorse regionali per coprire la spesa relativa agli ammortizzatori
sociali in deroga.
Quattro ore di confronto utili solamente a confermare l’arroganza e la
superficialità di ciò che rimane della giunta regionale di centrodestra.
Giunta che ogni giorno fa strage di diritti e legalità, dannosa come la
Peste nera del 1300. Una Peste chiusa nei propri palazzi, che hanno più
interesse alla propria sopravvivenza politica che a un miglioramento
delle condizioni di vita dei cittadini sardi, incapace di affrontare
l’emergenza di chi rischia di non percepire più reddito già a partire da
questo mese. Il governo Monti non poteva essere più esplicito,
sottolineando attraverso il ministero del lavoro, il criminale ritardo
della Sardegna nell’attuazione di politiche attive del lavoro per le
migliaia di lavoratrici e lavoratori fuori dal processo produttivo da
anni: la disponibilità a versare le risorse dovute per gli
ammortizzatori in deroga (57 milioni di euro) è strettamente legata alla
capacità, da parte della Regione, di velocizzare la spesa dei 40
milioni di fondi europei destinati alla formazione e al reinserimento
lavorativo.
Il 13 giugno, dopo l’ultimo incontro con i sindacati confederali, la
giunta regionale ha deliberato la modifica alla Finanziaria per reperire
i 32 milioni di euro necessari a saldare il debito con l’Inps per gli
ammortizzatori sociali. Il Consiglio regionale adesso dovrà approvare un
emendamento. E i sindacati sollecitano, ancora una volta, la spesa dei
fondi comunitari per la formazione e il reinserimento lavorativo. Una
nota stampa del sindacato sottolinea come “Il numero delle domande per
la cassa integrazione in deroga è aumentato da quindici a ventimila
rispetto all’anno scorso: è una situazione che impone l’utilizzo delle
risorse e, contemporaneamente, un piano di politiche attive per il
lavoro”. Pensiamo davvero che la fine della tempesta possa arrivare quando anche l’ultimo sussidio verrà pagato? Se il cancro potesse essere curato con un aspirina, la Sardegna non
vivrebbe in maniera violenta un processo di deindustrializzazione che
cammina insieme a un modello di sviluppo economico selvaggio. Un modello
di sviluppo fallito, che ha lasciato un deserto di disastri sociali,
ingiustizia e solitudine.
Ci troviamo di fronte ad una vera e propria bomba sociale rappresentata
da 350 mila cittadini sardi sotto la soglia della povertà, con oltre 15
mila persone in cassa integrazione, e migliaia di aziende fallite e in
crisi. Una bomba sociale pronta ad esplodere, in qualsiasi momento.
Perché questa crisi non è solo il prodotto dell’incompetenza del governo
regionale di centrodestra, ma è sopratutto il fallimento di trent’anni
di politiche liberiste, quelle in cui ci avevano promesso un mondo più
competitivo, in cui si sarebbe dovuto correre tutti un po di più,
realizzando benessere diffuso per tutti.
Trent’anni di politiche liberiste mescolate al neocolonialismo dei piani di rinascita, hanno prodotto solo la totale libertà di movimento dei capitali e la completa deregolazione dei mercati finanziari. Hanno cancellato le nostre diffuse culture pastorali e contadine e ci hanno abbandonati a una condizione di progressivo sottosviluppo rispetto alle altre regioni italiane. Non ci può bastare l’erogazione di un sussidio. Come non ci possiamo limitare all’attuazione di un nuovo piano regionale delle politiche attive del lavoro. Le grida degli operai dell’Eurallumina e dei lavoratori dei call center sotto la Regione, rivendicavano una via d’uscita credibile dalla marea di disperazione ed emarginazione. Una via d’uscita che può essere determinata solo da un cambiamento radicale di rotta.
Trent’anni di politiche liberiste mescolate al neocolonialismo dei piani di rinascita, hanno prodotto solo la totale libertà di movimento dei capitali e la completa deregolazione dei mercati finanziari. Hanno cancellato le nostre diffuse culture pastorali e contadine e ci hanno abbandonati a una condizione di progressivo sottosviluppo rispetto alle altre regioni italiane. Non ci può bastare l’erogazione di un sussidio. Come non ci possiamo limitare all’attuazione di un nuovo piano regionale delle politiche attive del lavoro. Le grida degli operai dell’Eurallumina e dei lavoratori dei call center sotto la Regione, rivendicavano una via d’uscita credibile dalla marea di disperazione ed emarginazione. Una via d’uscita che può essere determinata solo da un cambiamento radicale di rotta.
Un nuovo modello di sviluppo di politiche del lavoro sane, stabili,
legate alle peculiarità delle nostre comunità, nel rispetto
dell’ambiente, e dei diritti civili e sociali è ancora possibile.
E’ necessario costruire dal basso, dai conflitti sociali esistenti, un senso comune della crisi, per evidenziare le disuguaglienze e individuare le responsabilità di chi ha prodotto questa crisi. Responsabilità che vanno fatte pagare. Senza sconti.
E’ necessario costruire dal basso, dai conflitti sociali esistenti, un senso comune della crisi, per evidenziare le disuguaglienze e individuare le responsabilità di chi ha prodotto questa crisi. Responsabilità che vanno fatte pagare. Senza sconti.
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