domenica 22 giugno 2008

La vita nei call center tra soprusi e produttività


Manuale di sopravvivenza per precari cronici

di Marco Maffei*

Disperazione, carriera fallita, bollette, affitto e tasse universitarie: chi lavora nei call center può avere molte motivazioni. E’ il solo lavoro dove vieni assunto quasi sempre, anche senza curriculum. Un settore perennemente in cerca di personale. Gli operatori outbound, prevalentemente donne, hanno un’età che varia dai venti ai cinquant’anni, la maggior parte ha un’istruzione media superiore. Molti sono alla prima esperienza lavorativa, altri hanno già fatto gavetta nel campo, lavorando mesi o anni in altri call center. Pensare a una sala con tante postazioni occupate da laureati, con lunghi curriculum e grandi capacità, può essere sconfortante. Ma solo se non si ha idea di cosa sia in Sardegna il mercato del lavoro.

Nella maggior parte dei call center outbound, non c’è possibilità di crescita, né immediata, né a lungo termine, anche se nel colloquio ti viene garantita una grande opportunità di progredire. Magari potrebbero capitare determinate forme di nepotismo o favoritismo, ma sono situazioni assai rare. Gli operatori sono l’ultima ruota del carro. Vengono affiancati dai team leader,che hanno il compito di coadiuvare e facilitare gli operatori nello svolgimento del loro lavoro. A capo del coordinamento dei team leader, c’è un supervisor, mentre al vertice aziendale c’è il call center manager, una figura che determina le linee guida della gestione aziendale.

Il committente, titolare dell’azienda, acquisisce le commesse direttamente dalle grandi imprese fornitrici, oppure da call center terzi. Nella maggior parte dei casi i team leader e i supervisor sono ex operatori che dopo anni di telefonate e gavetta sono cresciuti, soprattutto all’interno della stessa azienda. Dopo il fardello del contratto a progetto, il rapporto con queste figure lavorative rappresenta spesso per gli operatori un conflitto costante. Pretendono il massimo per ciò che riguarda professionalità, serietà, impegno, ma soprattutto produzione. Negli anni di esperienza nei call centers outbound, ho avuto la possibilità di conoscere molti team leader e ho notato che spesso non sanno come motivare l’operatore, allora pensano di riuscirci urlandoci contro, facendoci stare ancora peggio. In alcune aziende la strategia più utilizzata è quella di ignorarci, smettere di parlarci, finché non riacquistiamo la produttività perduta.

In assenza di tutele nel settore outbound, la dimensione del lavoratore del call center è concentrata in forme di approccio individualistiche ed egoistiche: da un lato gli operatori altamente produttivi, dall’altro quelli scarsi. C’è chi in silenzio difende lo stato di cose, ma quelli che alzano la voce, lo fanno creando un dialogo individuale con il datore di lavoro, quasi mai coinvolgendo il sindacato. Chi si ribella, non solo può essere visto in maniera negativa dai coordinatori di sala, ma anche dagli operatori stessi. Il futuro delle migliaia di lavoratori e lavoratrici dei call center outbound cagliaritani, deve necessariamente passare per il superamento dei contratti a progetto e la stabilizzazione. Solo estendendo i diritti con l’applicazione dei contratti nazionali potremmo riacquistare un’identità collettiva e una coscienza sociale.

* precario call center
Da "L'Altra Sardegna" Maggio '08


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Spazio alle denunce sul blog

di Roberto Guidi*

La generazione dei call center vive l’era della legge 30, nella completa incertezza di un futuro che non arriva mai, e riesce ad avere solo occasioni di lavoro poco qualificate, poco retribuite, poco stabili e poco tutelate, con ricorrenti e prolungati periodi di totale assenza di lavoro e di reddito.
La memoria storica ci riporta indietro nel tempo, almeno a cento anni fa, nell’era del caporalato, quando i lavoratori si dovevano alzare alle tre del mattino per andare nelle piazze dei paesi, dove il padrone o chi per lui, li sceglieva dopo un attento esame, e li caricava nei carri anche sulla base del fatto che non fossero rompiscatole, e si limitassero, in silenzio, e talvolta con la violenza, a lavorare a cottimo.

La crisi della percezione dei diritti esiste sopratutto in quelle realtà che vivono schiacciate da continui controlli di produttività, come le aziende outbound. Un deserto culturale di individualità, dove la buona notizia della sentenza della Corte di Cassazione che impone il diritto ad un contratto di lavoro subordinato, non ha cambiato ancora nulla. Ma non dimentichiamoci dell’inbound, dove 200 dipendenti del call center Telecom della Gemini rischiano per la quarta volta di perdere il lavoro, anche se esiste e si è sviluppata una maggiore coscienza collettiva e sindacale, grazie all’applicazione del contratto collettivo.

La percezione che il precario telematico ha del sindacato è quella di un’entità troppo complessa per intercettare e rivendicare i suoi diritti. L’avvicinamento al sindacato, in questo caso alla categoria Nidil, spesso è legato esclusivamente alla gestione di questioni vertenziali nei confronti del datore di lavoro, questioni individuali, che non danno la possibilità di sviluppare una cultura collettiva del valore sociale del lavoro. La Cgil può dare un forte e significativo contributo nel percorso di costruzione e sviluppo di un movimento dei precari telematici, ricercando e sperimentando forme nuove di intervento nei conflitti sociali.

Un lavoro di inchiesta e di riflessione collettiva, anche attraverso forme intermedie, indirette e orizzontali. Proviamo a costruire Interventi costanti e permanenti, come una conferenza sul mondo dei call center, un momento di studio, di partecipazione, e (perché no?) anche di festa. Abbandonando le certezze e le ricette precostituite, attraverso l’ascolto dei bisogni, di chi si trova nelle medesime condizioni di vita lavorativa, possiamo portare il sindacato a riconquistare la sua capacità attrattiva nelle lotte per i diritti sociali, identificando collettivamente i lavoratori dei call center e contemporaneamente indagando la composizione del mondo del lavoro precario.

Due mesi fa, con alcuni colleghi precari, abbiamo cominciato questo percorso, creando un blog, http://precarinlinea.blogspot.com/ che ha come obiettivo la creazione di una rete orizzontale e informale dei precari dei call center di Cagliari. Vorremmo articolare uno spazio di dialogo, confronto e fantasia con chiunque faccia parte di questo mondo, chi si sente sfruttato, o felice di lavorare a progetto. Tutti possono scrivere e raccontare le loro storie, anche chi dirige o è proprietario di un call center.

* precari call center
Da "L'Altra Sardegna" Maggio '08