giovedì 30 ottobre 2008

Mobbing, il ricatto della precarietà


30 Ottobre 2008,
da inviatospeciale.com

Depositati in Parlamento quattro disegni di legge: secondo l’Ispesl il fenomeno coinvolge in Italia un milione e mezzo di lavoratori, soprattutto donne e pubblici dipendenti . Innanzitutto, è bene definire il fenomeno: viene chiamato ‘mobbing’ “il comportamento di violenza e di discriminazione che avviene sul luogo di lavoro e che ha conseguenze sulla sua organizzazione”. Fenomeno diffusissimo eppure sottovalutato anche da tanti ‘mobbizzati’, convinti che nell’era della precarietà quasi tutto sia concesso al datore di lavoro. In Parlamento sono depositati quattro disegni di legge (n. 62, Tomassini; n. 434, Costa; n. 453, Pedica, n. 856, Mongiello ed altri) in materia “di tutela delle lavoratrici e dei lavoratori dalla persecuzione psicologica (mobbing)”: da pochi giorni è iniziato l’esame congiunto in Commissione Lavoro al Senato.

La sen. Ghedini (Pd), relatrice del provvedimento, intervenendo in via preliminare sulla questione, l’ha presa da lontano: è partita dagli studi pioneristici sul fenomeno, avviati in Svezia negli anni ’80 sulla base delle ricerche dello psicologo Leymann, e sulla risoluzione adottata nel 2001 dal Parlamento Europeo, con la quale gli Stati membri erano esortati a rivedere e, se del caso, a completare la legislazione vigente sotto il profilo della lotta contro il mobbing e le molestie sessuali sul posto di lavoro, nonché a verificare ed uniformare la definizione della fattispecie del mobbing. Ghedini ha ricordato inoltre gli studi effettuati nel 2003 dall’OMS e dall’ILO, volti a definire il fenomeno ed a suggerire misure per la prevenzione ed il contrasto, nonché alcune recenti iniziative assunte a livello comunitario dalle parti sociali accanto all’istituzione, due anni prima, in Italia, di un Comitato scientifico (per iniziativa dell’INAIL) su malattie psichiche e psicosomatiche da stress e disagio lavorativo.

Da qui si partì per arrivare al decreto ministeriale 27 aprile 2004, che ha incluso tra le malattie per le quali è obbligatoria la denuncia, “il disturbo dell’adattamento cronico ed il disturbo post traumatico cronico da stress derivanti da disfunzioni dell’organizzazione del lavoro”. Secondo un monitoraggio effettuato dall’ISPESL, sarebbero circa un milione e mezzo i lavoratori italiani vittime di mobbing su 21 milioni di occupati, in maggior misura le donne e gli addetti della pubblica amministrazione, e con una maggiore diffusione del fenomeno nel Nord Italia. La giurisprudenza, per quanto possibile, ha fatto la sua parte, considerando che in Italia non esiste una legislazione specifica. Una recentissima sentenza (la n. 24293) della Sezione Lavoro della Cassazione ha capovolto l’orientamento prevalente, in base al quale ai fini del diritto al risarcimento, era ritenuta necessaria la sussistenza di un danno di natura psico-fisica, pur se non implicante la menomazione dell’idoneità a produrre reddito, ed ha sostenuto invece che possa essere configurata come mobbing, e dare dunque luogo al diritto al risarcimento del danno, anche la violazione di diritti del lavoratore, fra cui quello alla valorizzazione della professionalità ed alla progressione di carriera.

Uscendo per un attimo dal ‘seminato’ parlamentare si può azzardare qualche altra considerazione. Di questi tempi, accanto alle smanie di efficientamento della pubblica amministrazione (magari sulla pelle dei precari ammansiti fino a poco tempo prima da spezzoni di classe politica) una parte del sistema delle imprese tende ad immaginare il superamento del fordismo-taylorismo (il sistema alla base della fabbrica tradizionale, rimasto in piedi per oltre un secolo) attraverso la proposizione di una giungla che prevede “spezzatini” produttivi e varie forme di dequalificazione professionale. Basti pensare all’organizzazione del lavoro nei call center, tenuti in piedi da lavoratori dipendenti camuffati da autonomi per consentire l’abbattimento del costo del lavoro. Per quanto più di uno studioso del settore si sia domandato come sia possibile che grandi imprese del terziario cosiddetto ‘avanzato’ scelgano di appaltare all’esterno la funzione di comunicazione con i propri utenti (perdendo il controllo sulle informazioni in merito alla qualità dei propri servizi) ciò accade non di rado. Forse, determinate scelte sono miopi solo in apparenza: vale a dire che la decantata “innovazione di prodotto” è solo uno slogan, e al di fuori del cosiddetto “core business” le aziende continueranno a disfarsi di tutto ciò che costa troppo. E pazienza se qualche milione di essere umani finirà precario e ‘mobbizzato’.

domenica 26 ottobre 2008

Call center, evasi contributi per 2 milioni


di Sandro De Riccardis
La Repubblica, 24 ottobre 2008

Gli ispettori del lavoro hanno sanzionato le aziende per un totale di 665mila euro. Erano collaboratori a progetto, liberi di organizzare il proprio tempo e il proprio lavoro, ma per andare in bagno dovevano firmare un foglio con l´orario di uscita e quello di entrata. Erano formalmente autonomi, svincolati dai ritmi aziendali, ma se lasciavano dieci minuti prima le cuffie sulla tastiera e andavano via, c´era chi sottraeva quei minuti dalla paga giornaliera. E c´era chi svolgeva le stesse mansioni anche da dieci anni nello stesso posto ma restava precario a progetto senza speranza di assunzione.

Per un anno gli ispettori della Direzione regionale del lavoro hanno visitato i call center di tutta la Lombardia. Per scoprire che sulle 107 realtà presenti, 42 avevano già da tempo lavoratori subordinati, 18 avevano aderito alle facilitazioni della circolare Damiano, trasformando 1.773 finti collaboratori a progetto in lavoratori subordinati, in altri 47 call center non vi era stata alcuna stabilizzazione. Per i regolarizzati, significa aver diritto a un lavoro stabile che rende più difficile il licenziamento, allo stipendio fisso e a contributi pensionistici più alti, alle ferie e alla maternità.

Coppie di ispettori hanno trascorso 225 giornate ispettive in un anno nei call center della regione, concludendo l´istruttoria in 29 aziende - tra queste, anche la Mastercom di Assago - e accertando 785 posizioni lavorative irregolari, due milioni di contributi arretrati da recuperare, 665mila euro di illeciti. Negli altri 18, l´Ispettorato sta portando avanti gli accertamenti. «Per 785 lavoratori questi diritti sono stati riconosciuti - spiega Andrea Rapacciuolo, responsabile della Vigilanza ordinaria della Direzione regionale del lavoro - le aziende però non ottemperano alle nostre decisioni, ma preferiscono fare ricorso. Anche se devono regolarizzare un solo dipendente».

Ed è così che i diritti restano virtuali, un miraggio che solo tra tre o quattro anni un giudice civile riconoscerà. «Prima di partire con i controlli siamo stati in tutte le aziende, fino ad aprile 2007, a spiegare le nuove norme - spiega l´ispettrice Gilda Guerriero, che si divide tra call center e cantieri edili, tra colletti bianchi e magut bresciani - Poi sono iniziate le ispezioni. Parliamo con i vertici dell´azienda, poi singolarmente con tutti i lavoratori, senza bloccare in nessun modo l´attività dell´impresa». E ricorda quando, in un´azienda alla periferia sud della città la sua squadra di ispettore trovò in call center il 95 per cento di co.co.pro. «Lì abbiamo riqualificato 76 persone - spiega Guerriero - una realtà tremenda. Dicevano che erano tutti autonomi, ma avevano gli "script" dell´azienda con le risposte da dare, i turni, gli orari, gli obiettivi quotidiani. Non c´era nulla di autonomo».

Qui e altrove, tante storie identiche: giovani madri che perdevano i soldi per uscire prima e andare a prendere i bimbi all´asilo, ragazzi sanzionati per un ritardo alla macchinetta del caffè, quarantenni che lavoravano lì da oltre dieci anni. Sempre a progetto.

lunedì 20 ottobre 2008

Precarinlinea invita tutte le lavoratrici e i lavoratori dei call center a partecipare alla minirassegna cinematografica "Ciack si Lavora"

Sindacato Lavoratori Comunicazione
Presenta:

CIAK SI LAVORA!

minirassegna cinematografica
sul lavoro, le sue gioie, i suoi drammi … la lotta

le proiezioni, anticipate da brevi presentazione del tema trattato, sono libere e aperte a tutti

Giovedì 30 ottobre Ore 20:30


Giovedì 6 Novembre Ore 20:30


Giovedì 13 Novembre Ore 20:30

vi aspettiamo presso la sala convegni dellaCgil in Viale Monastir 17 a Cagliari


Per informazioni: Luca 3283798489 Antonio 3462435656

venerdì 17 ottobre 2008

Io cavia nel call center, cronaca di una vita precaria

di Sandro De Riccardis
da La Repubblica 17 ottobre 2008

Cronista assunto per una settimana come operatore per 4 euro l'ora. Nessuna certezza per il futuro. Il capo lo incita: le tue cuffie sono un fucile, colpisci! Sono l'operatore 172. Ho risposto a un annuncio su Internet spedendo via e-mail il mio curriculum, e dopo il colloquio sono qui, con le cuffie in testa e il microfono che mi sfiora le labbra, a proporre a decine di titolari di partite Iva di lasciare Telecom e passare a Infostrada. Ho lavorato una settimana alla Mastercom, azienda di telemarketing e teleselling nella zona industriale di Assago, hinterland di Milano, un cubo di vetri a specchio e cemento a pochi passi dalla tangenziale Ovest, costola di un gruppo in espansione con nuove sedi a Roma e Benevento.

Dopo la selezione, ho trascorso giorni in azienda senza aver firmato nessun contratto. Ho visto i 1200 euro lordi assicurati dai selezionatori, al colloquio e nei primi due giorni di formazione, diventare 800 al mese lordi (appena 640 netti), mentre le provvigioni promesse si sono ridotte in ventiquattr'ore della metà. Ho conosciuto universitari che non ce la fanno a pagarsi gli studi, ragazzine appena diplomate reduci da altri call center, segretarie trentenni licenziate e sostituite da giovani con contratto da apprendista, laureati con titoli improvvisamente inutili. Tutti senza altra chance che essere qui.

Mi pagano 4 euro netti l'ora. Contratto di collaborazione occasionale per trenta giorni, poi a progetto. Otto ore al giorno - 4 e mezzo il part time - di fronte a un monitor che passa in automatico i dati degli abbonati Telecom da contattare. Promettono un mensile di 1200 euro e provvigioni di 20 (contratto Voce) e 25 euro (contratto con Adsl) per ogni nuovo cliente rubato alla concorrenza.

"Qualcuno qui guadagna più di me - spiega Massimo, il selezionatore, al colloquio -. La media dei contratti di ogni operatore è di 3,9 al giorno". Nessuno però spiega il trucco contabile: il calcolo dell'azienda è su 30 giorni lavorativi perché alla Mastercom si lavora dal lunedì al venerdì. Così trenta giorni, il loro "mensile", corrispondono a sei settimane. Un mese e mezzo. E i 1200 euro promessi diventano nella realtà 800 euro al mese. Lordi. Appena 640 netti. Pagati a 60 giorni. Una cifra che nessuno pronuncia mai, un equivoco che gli altri 16 ragazzi che entrano con me in azienda capiranno molto tardi.
Alla Mastercom il turnover di operatori è continuo: ogni lunedì entrano tra i dieci e i venti nuovi lavoratori, altrettanti abbandonano. Con me ci sono quattro ragazzi e 12 ragazze. Dai 19 anni di Antonella e Giovanna, appena uscite dalle superiori, ai 38 di Carla e agli "oltre 40" di Alessandra, che s'imbarazza a rivelare l'età e a dire che sta provando a riprendere a lavorare dopo nove anni, dopo un divorzio. Ci sono anche 4 stranieri: Frida che viene dal Ghana e Salomon dal Camerun, Betsy dall'Ecuador e Lidia dal Venezuela. Tutti ventenni, seconda generazione di famiglie arrivate in Italia quando loro erano bambini. Sono i nuovi italiani: scuole a Milano, ottimo italiano, ambizioni di un futuro diverso da quello dei genitori.

Molti arrivano dai call center di Monza, Cesano Boscone, Milano città, "dove si lavora 24 ore su 24, dal lunedì alla domenica, come robot". O da centri commerciali, ristoranti, locali nel cuore della movida milanese dove "una notte di lavoro, dalle 19 all'alba viene pagata 50 euro in nero a fine serata".

I primi due giorni di formazione - non retribuiti, anche se è a tutti gli effetti attività lavorativa che dev'essere pagata dal datore di lavoro - sono una full immersion di marketing e psicologia della vendita. Con qualche trucchetto per produrre di più. Uno riguarda il modem per Internet. "Si può noleggiare o acquistare - spiega chi ci istruisce - . Al telefono col cliente, abbassate la voce come se state rivelando un segreto poi sussurrate: "Guardi, glielo dico senza farmi sentire sennò mi licenziano. Lo compri, costa solo 17 euro, le conviene piuttosto che pagare 3 euro ogni mese. In realtà lo state fregando. Presto si romperà, e l'azienda non ha nessuna voglia di fare manutenzione".

Le ore passano tra simulazioni di telefonate, studio delle obiezioni che riceveremo, illustrazione dei contratti da proporre. "Dovete essere lo specchio dell'altro. Capire i desideri dell'acquirente, agire sulla parte emotiva - ci dicono - . Fare come scrive Pirandello. Cambiare ogni volta maschera. Se ci pensate, noi vendiamo sempre qualcosa: le idee, la nostra immagine, le nostre scelte".

Fino al mercoledì, terzo giorno di lavoro, nessuno vede un contratto. Così nel cortile nascono complicati dibattiti sullo stipendio, con i telefonini che si trasformano in calcolatrici. L'atrio all'ingresso è l'unico spazio all'aperto. È qui che si fa pausa per caffè e sigarette. Qualcuno dell'azienda ci vede e ci rassicura, almeno sulle provvigioni: "20 euro per contratto voce, 25 Adsl". Poi si passa in sala training e da mezzogiorno iniziamo a fare le prime telefonate. "Ricordate Full metal jacket? - dice Alex, il nostro team leader - Il soldato diceva "Il mio fucile è il mio migliore amico, è la mia vita. Senza il mio fucile io sono niente". Il nostro fucile sono le cuffie. Con loro dobbiamo saper colpire il bersaglio".

Con il nostro fucile, siamo operativi davanti ai pc senza aver firmato nulla. Come se paga, provvigioni e condizioni contrattuali fossero una variabile indipendente dal nostro lavoro. Ma ecco, due minuti prima della pausa pranzo, quando non vogliamo far altro che scappare a mangiare, arrivano i moduli per la firma. "È il contratto standard dei collaboratori occasionali" spiegano a chi si dilunga a leggere. Molti capiscono solo ora che i 1200 euro di stipendio coprono sei settimane di lavoro e non un mese. E che non è detto che le nostre provvigioni saranno di 20 e 25 euro: la terza pagina da firmare è un elenco indistinto di gettoni da 5 a 25 euro.

Per tutto il pomeriggio di mercoledì, le nostre telefonate raggiungono il segmento di clienti Telecom ULL (Unbundling local loop), quelli che sono rimasti sempre fedeli all'ex monopolista e a cui si propone il distacco totale dalla vecchia Sip. Poi, all'improvviso, giovedì, il nostro team leader blocca tutto. "Siete un gruppo molto affiatato, l'azienda vuole scommettere su di voi. Da ora chiamerete un'altra categoria di clienti".

Soddisfatto dei complimenti, tutto il gruppo - tranne tre che restano sui vecchi contratti - inizia a chiamare i "silenti", i clienti che ai tempi delle prime liberalizzazioni sono passati a Infostrada pur dovendo pagare doppio canone, e che per questo sono rimasti a Telecom. "Si tratta di convincerli a tornare", ci dicono. Partiamo con le telefonate ai Wrl (clienti fuori copertura). Per scoprire, soltanto il giorno dopo, che per questi contratti le provvigioni non sono di 18 e 25 euro ma 8 e 12 euro. Meno della metà. Nessuno ce lo dice. "Per ora è cosi" rispondono quando chiediamo spiegazioni. Ma nessuno ribatte.

E nessuno reagisce alle proteste delle persone a casa, alle offese e alle minacce di denuncia. Ci hanno insegnato che dobbiamo essere più forti delle difficoltà. Mi metto in contatto con un clic con ogni partita Iva che appare sul monitor. Da Bolzano a Siracusa, chiamo tappezzieri e pizzerie, parrucchieri e macellai, studi di architetti e avvocati, profumerie e scuole guida, imprese edili e meccanici.

"Oggi è la 14esima volta che ci chiama qualcuno" rispondono all'Oasi del capello di Broni, provincia di Pavia. "Siete ossessivi" dicono da un negozio di giocattoli di Potenza. "Bombardate dalla mattina alla sera" si sfoga un medico calabrese. Perché quando qualcuno non accetta la proposta, l'ordine non è di escluderlo dal database, ma di rimetterlo in circolo per essere richiamato tra poche ore o tra una settimana, a secondo della violenza della sua protesta. Il contrario di quanto stabilisce il Garante della privacy che dal dicembre 2006 obbliga i call center a "rispettare la volontà degli utenti di non essere più disturbati".

I miei colleghi che misurano ogni euro del loro lavoro, si accorgono così che non è tanto facile acquisire clienti. Anche se per giorni ci hanno ripetuto il numeretto magico di 3,9 contratti stipulati ogni giorno da ogni operatore. Tra mercoledì e venerdì facciamo tre contratti. Lunedì, ultimo giorno di lavoro, un paio. In fondo alla sala, sulla lavagna c'è il nome di ognuno di noi: in rosso c'è l'obiettivo che si è dato prima di partire, accanto uno smile per ogni contratto realizzato.

In queste sale non c'è il rito motivazionale che si vede in Tutta la vita davanti, il film di Paolo Virzì sul mondo dei call center, ma a ogni contratto concluso dai nuovi, c'è in sala training l'applauso dei colleghi. E così avviene nella sala grande se qualcuno raggiunge il numero di contratti per ottenere il bonus in busta paga. Un concetto ce l'hanno spiegato subito: serviamo solo se vendiamo. Perché la somma dei nostri contratti fa il risultato del team leader, i loro risultati sono il target della Mastercom col committente, Wind-Infostrada.

"Ma se l'azienda fissa gli obiettivi, mette a disposizione le sue strumentazioni e gestisce turni e assenze, si configura una posizione da lavoratore dipendente", spiega Davide Ferrario, del Nidil, il sindacato dei precari della Cgil. Dopo una settimana, il mio gruppo non esiste più. Eravamo in 17 il primo giorno, siamo rimasti in 5. L'ultimo contratto che vedo è di Luca, rimasto in sala training una settimana in più, mentre quelli arrivati con lui sono già nella sala grande. È stato 15 giorni in attesa di questo momento: contratto Adsl a una romena di 18 anni. A fine giornata, tira fuori il telefonino e immortala l'evento. Fa una foto alla lavagna col suo nome accanto al disegno di un visino sorridente.

martedì 14 ottobre 2008

Licenziamenti scongiurati alla "Radio Call" di Gliaca di Piraino


Ogni tanto, nella disperazione delle vite precarie, una buona notizia.
Roberto

Tempo Stretto 11/10/2008
di Fabio Ruggiano

Intervento in extremis del Ministero dello Sviluppo economico. Riaperto il tavolo della trattativa. Le lettere di pre-licenziamento arrivate una settimana fa avevano fatto temere il paggio, e invece la "Radio Call Service" S.r.l. di Gliaca di Piraino non chiuderà (e lo stesso vale per l'altro call center del gruppo, il "Call Center Italia" S.r.l. di Palermo). Il risultato è scaturito dalla riunione di mercoledì al Ministero dello Sviluppo economico tra i rappresentanti del Governo, quelli del Task-force regionale per il Lavoro, i sindacati e alcuni rappresentanti istituzionali dei Comuni interessati dalla vicenda occupazionale dell'azienda.

Il tavolo regionale riaprirà, e si spera che questa volta si arrivi alla soluzione della crisi finanziaria della "Radio Call" grazie al rinnovato impegno alla collaborazione di Regione e proprietà. Il rapporto tra le due parti, infatti, ha vissuto momenti di tensione nelle ultime settimane, a causa di alcune dichiarazioni del presidente della Task-Force, Salvatore Cianciolo, giudicate inesatte e fuorvianti dal gruppo Pizzino, proprietario del call center.

Tutto bene, dunque? Non proprio, visto che dall'incontro è venuta solo la disponibilità a riaprire il dialogo. L'iter per la risoluzione della vicenda è ancora lungo, tenuto conto anche che la società di Gliaca vanta un credito di 1.200.000 euro proprio dalla Regione, in base alla Legge 27 del 1991. Le ragazze di "Radio Call" sono comunque soddisfatte del ritrovato clima di collaborazione, e della solidarietà che hanno ottenuto dalle istituzioni e dall'opinione pubblica.

«La fiducia delle ragazze di "Radio Call" è stata ben riposta: continueranno a lavorare - dichiarano le lavoratrici del call center in un comunicato a firma della portavoce Anna Maria Di Nolfo-. L'azienda si è impegnata a revocare i licenziamenti, a non cessare l'attività e a darne comunicazione ai clienti. Il dott. Cianciolo si è impegnato a riattivare un tavolo regionale per la risoluzione della problematica finanziaria attraverso un accordo trilaterale Regione-Azienda-Inps; si è impegnato, inoltre, a promuovere, in accordo con il presidente della Commissione per l'Emersione del Lavoro nero, una legislazione regionale che garantisca il rispetto delle regole nel settore dei call center nell'ambito degli appalti. Le organizzazioni sindacali si sono impegnate a collaborare con la Regione Sicilia affinché la normativa di cui sopra, promuovendo il rispetto delle regole nel settore dei call center, tuteli sia lavoratori che aziende che applicano le previste condizioni contrattuali.» «Rimanete con noi - conclude il comunicato -. La strada da percorrere è lunga, ma noi siamo determinate a seguirla.»