giovedì 25 settembre 2008

Call center, tanti destini appesi a un filo


di Michela Bevere
25/09/2008

Nonostante il caso del call center Atesia, per il quale l'Ispettorato del Lavoro ha riconosciuto trattarsi di lavoro subordinato, il settore è da sempre considerato l'emblema del precariato più selvaggio. E i call center continuano a essere terreno fertile per gli abusi da parte dei datori di lavoro.

Ultimo caso, quello delle centraliniste dell'ospedale di Legnano, la cui protesta è finita su YouTube: anche per loro, dopo tre anni di contratti precari, è arrivato il benservito. Già, perché come se non bastasse, a mettere a rischio i lavoratori ci si è messo anche il decreto 112, la manovra economica triennale approvata dal governo Berlusconi, in cui si fa piazza pulita delle garanzie per i precari introdotte dal governo Prodi. Tra queste, anche l'obbligo di assunzione dopo 36 mesi di contratto: con il centrodestra al governo, i lavoratori devono accontentarsi di un risarcimento, nemmeno troppo corposo. Strada sbarrata anche per chi prova a rivolgersi a un giudice: anche qui, al massimo si otterrà qualche spicciolo, ma nessun Tribunale potrà più ordinare il reintegro dei lavoratori ingiustamente licenziati.

Per questo gli addetti ai centralini di tutta Italia, venerdì 19 settembre scorso, hanno deciso di scioperare e di scendere in piazza. Si è trattata della prima manifestazione nazionale del settore, con l'appoggio di Cgil, Cisl e Uil, ma anche dei sindacati di base. Lo sciopero, a cui ha aderito circa il 60% dei lavoratori, è stato "a difesa della buona occupazione, contro il dumping delle imprese più scorrette, per maggiori controlli ispettivi, per una maggiore responsabilità dei committenti e per la stabilizzazione dei lavoratori precari ancora presenti nel settore". Molto è stato fatto, hanno ricordato i sindacati, negli anni scorsi, ma tutto sembra essersi fermato. "Occorre attivare nuovamente il Tavolo nazionale sui Call Center presso il Ministero del Lavoro - hanno sottolineato Cgil, Cisl e Uil - anche per sapere che fine hanno fatto gli oltre 8mila verbali sanzionatori frutto dell'attività ispettiva fino intrapresa".

Tra chi rischia di perdere il posto, ci sono chiaramente anche quelli del call center Alitalia. Solo in Sicilia, come ha denunciato il segretario generale della Cgil siciliana, Italo Tripi, sono circa mille i dipendenti che potrebbero perdere il lavoro. Si tratta degli addetti a servizi e prenotazioni, esuberi che nemmeno il piano della Cai contemplava, perché quei lavoratori non rientrano nel "perimetro industriale". "Sono anche queste - ha sottolineato Tripi - le condizioni reali, che non possono essere ricondotte nelle schema imposto del prendere o lasciare, delle quali la Cgil chiede si tenga conto nella trattativa e che motivano la posizione del nostro sindacato».

martedì 23 settembre 2008

I call center dicono «basta»


di Antonio Sciotto
Il Manifesto,
lunedì 22 Settembre 2008

Le imprese Assocontact: assumiamo se aumenta il peso del salario variabile

Finalmente si rivede qualcuno in piazza, e ad avviare l’autunno (si spera) caldo sono loro, i ragazzi dei call center. Una bella manifestazione sotto la pioggia di Roma, con 5 mila operatrici e operatori che per una giornata si sono «sloggati» dalla cuffietta per dire basta alla precarietà e ai bassi salari.

E, soprattutto, basta all’etichetta di «sfigati»: perché amano il loro lavoro, lo vogliono rendere sempre più professionale, ma per poter lavorare bene bisogna vivere bene. Serve un futuro sicuro, servono soldi per arrivare tranquilli a fine mese. «Noi non ci vogliamo più vergognare di dire lavoro in un call center - urla Luca dal palco - Ma le imprese ci devono dare risposte, come le aziende committenti. E il governo».

Sì, il governo è il grande assente: il ministro del Welfare Maurizio Sacconi non ha mai riaperto il tavolo sulle stabilizzazioni, e ha bloccato di fatto gli ispettori del lavoro. Hanno sempre meno fondi e mezzi, e ben 8 mila ispezioni già effettuate sono chiuse nel cassetto, non se ne conosce l’esito. In attesa di un posto stabile, cocoprò ormai da anni, ci sono almeno 30 mila operatori. Le aziende committenti per il momento sono in stand-by : aspettano il rinnovo del contratto, da dicembre in poi. Le imprese in appalto, invece, guardano al tavolo Confindustria-sindacati sul modello contrattuale, e si offrono come «terreno sperimentale»: Assocontact, l’associazione aderente a Confindustria che raggruppa le aziende di outsourcing , avanza una proposta che potrebbe rivoluzionare l’attuale concetto di salario garantito. «Noi siamo anche disposti ad assumere tutti a tempo indeterminato - spiega il presidente Umberto Costamagna - ma si deve puntare molto di più sulla produttività, ampliando lo spazio del salario variabile rispetto a quello fisso.

Per noi che lavoriamo su commesse, è indispensabile». «Governo licenziato, potere al precariato» Slogan coloratissimi: «Sacconi, Sacconi, ci hai rotto li...». «Lavoro a progetto, sai dove lo metto». «Lavoro precario, vogliamo più salario». I lavoratori vengono da tutta Italia, dalla Sicilia al Piemonte, passando per Calabria, Puglia, Sardegna. Molti hanno dovuto viaggiare di notte: ma non potevano mancare alla prima manifestazione nazionale dei call center. L’adesione, secondo le cifre diffuse da Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom, è stata del 40%, con punte del 60%. Più bassa, come di prammatica, quella registrata da Assocontact: 15% con punte del 50%. Altra nota, il saluto inviato da Massimo Ghini e Sabrina Ferilli, interpreti del film Tutta la vita davanti di Virzì: «Lo stress di una prestazione ripetitiva e l’incertezza sul futuro possono spegnere l’entusiasmo della vita: la nostra solidarietà a sostegno delle giuste rivendicazioni per le quali, da anni, state lottando».

Stefania, Rsa Cgil, ci racconta del call center Inps-Inail di Bitritto (Bari), che pur essendo in appalto è stato citato come esempio di massima efficienza della pubblica amministrazione dal ministro Brunetta in un’intervista al Giornale : e allora perché i 160 pugliesi, e varie decine in altre città, sono appesi al rinnovo della commessa in gennaio? «Chiediamo a Inps e Inail una clausola sociale: conservare il posto, qualsiasi sia il vincitore della gara». Una Rsu Cub parla a nome degli esternalizzati Wind: il giudice ha riconosciuto loro il diritto al premio di risultato e alla sanità integrativa, che avevano perso. Antonia, della calabrese Datel/Telic spiega le difficoltà di una «vita a progetto», della «lotta tra poveri» che si scatena tra cocoprò e interinali. Simone, della ligure Call& Call, ricorda la necessità di applicare le circolari Damiano, soprattutto l’ultima, quella che riconosceva di fatto, anche agli outbound , il diritto al lavoro subordinato.

Ci sono anche Nidil, Alai e Cpo. L’ex ministro Cesare Damiano (Pd), presente al corteo, è più volte applaudito: il lavoro che aveva fatto, per quanto parziale e spesso criticato da chi avrebbe voluto di più, risulta comunque mastodontico rispetto al nulla totale di Sacconi. «Di noi non si parla più, ci hanno dimenticato» «Dei call center non si parla più: il governo non ha neppure cancellato le leggi. Semplicemente, non applica quelle vigenti. Il segretario Slc Cgil Emilio Miceli chiede a Sacconi di riaprire l’Osservatorio sui call center, avviato dal passato governo, e soprattutto di riattivare gli ispettori del lavoro. Ricorda poi i 1500 operatori della Alicos di Palermo, che lavorano per Alitalia: rischiano il posto, al tavolo nessuno parla di loro.

E ricorda i precari delle Poste e della Rai, traditi dopo anni di attesa da una «legge pirata» dell’attuale governo. Alessandro Genovesi, Slc Cgil, chiede insieme a Fistel e Uilcom «l’applicazione della seconda circolare Damiano: la gran parte degli outbound sono di fatto dipendenti». E chiede anche ai committenti - spesso grandi compagnie telefoniche di «smetterla con le gare al massimo ribasso». Il presidente di Assocontact Costamagna, ci spiega di essere «favorevole alla ripresa dell’Osservatorio e di un tavolo ministeriale».

Ma invoca una riforma del settore: «Noi possiamo assumere tutti, ma solo se si punta sulla produttività - ripete - I committenti ci pagano solo sul prodotto effettivamente lavorato, e allora è giusto garantire un fisso al lavoratore perché sia sereno, ma buona parte della retribuzione deve essere variabile, in base ai risultati, perché i nostri stessi ricavi sono variabili». L’esempio fornitoci è quello di un fisso sui 7-8 euro l’ora, con il resto della retribuzione guadagnato solo nel caso che la telefonata sia andata a buon fine. La «svolta» potrebbe essere proposta ai sindacati al rinnovo del contratto, in dicembre, nel caso in cui si trovasse spazio per parlare dell’ outsourcing . Ma certo, in questo modo si dovrebbe mettere in soffitta il contratto nazionale valido per tutti, e lo stesso principio unificatore della seconda circolare Damiano.

sabato 20 settembre 2008

Call center, primo sciopero nazionale dei precari



Piange il telefono, diceva una canzone di qualche decennio fa. Ma a piangere, purtroppo, potrebbero essere anche quei 120 mila precari che con il telefono ci lavorano. Il settore dei call center, infatti, è da sempre l’emblema della deregulation selvaggia, del precariato usato anche quando non serve. Il caso Atesina era balzato agli onori delle cronache proprio per la sentenza dell’Ispettorato del Lavoro che riconosceva il tipo di lavoro subordinato, e quindi non giustificava più i contratti a progetto che venivano regolarmente proposti ai lavoratori. Quella vicenda, però, non ha fatto troppa giurisprudenza. E i call center continuano ad essere terreno fertile per gli abusi più indecenti.

Ultimo caso, quello delle centraliniste dell’ospedale di Legnano, la cui protesta è finita su YouTube: anche per loro, dopo tre anni di contratti precari, è arrivato il benservito. Già, perché come se non bastasse, a mettere a rischio i lavoratori ci si è messo anche il decreto 112, la manovra economica triennale approvata dal governo Berlusconi in cui si fa piazza pulita delle garanzie per i precari introdotte dal governo Prodi. Tra queste, anche l’obbligo di assunzione dopo 36 mesi di contratti: con il centrodestra al governo, i lavoratori devono accontentarsi di un risarcimento, nemmeno troppo corposo. Strada sbarrata anche per chi prova a rivolgersi a un giudice: anche qui, al massimo si otterrà qualche spicciolo, ma nessun Tribunale potrà più ordinare il reintegro dei lavoratori ingiustamente licenziati.

Insomma, di carne al fuoco ce n’è parecchia. Per questo gli addetti ai centralini di tutta Italia, venerdì 19 settembre, hanno deciso di scioperare e di scendere in piazza. Si tratta della prima manifestazione nazionale del settore. La appoggiano Cgil, Cisl e Uil ma anche i sindacati di base. Lo sciopero, si legge nella piattaforma, è «a difesa della buona occupazione, contro il dumping delle imprese più scorrette, per maggiori controlli ispettivi, per una maggiore responsabilità dei committenti e per la stabilizzazione dei lavoratori precari ancora presenti nel settore». Molto è stato fatto, ricordano i sindacati, negli anni scorsi ma tutto sembra essersi fermato. «Occorre attivare nuovamente il Tavolo nazionale sui Call Center presso il Ministero del Lavoro – sottolineano Cgil, Cisl e Uil – anche per sapere che fine hanno fatto gli oltre 8 mila verbali sanzionatori frutto dell’attività ispettiva fino intrapresa».

Tra chi rischia di perdere il posto, ci sono chiaramente anche quelli del call center Alitalia. Solo in Sicilia, come denuncia il segretario generale della Cgil siciliana, Italo Tripi, sono circa mille i dipendenti che potrebbero perdere il lavoro. Si tratta degli addetti a servizi e prenotazioni, esuberi che nemmeno il piano della Cai contemplava, perché quei lavoratori non rientrano nel «perimetro industriale». «Sono anche queste - sottolinea Tripi - le condizioni reali, che non possono essere ricondotte nelle schema imposto del prendere o lasciare, delle quali la Cgil chiede si tenga conto nella trattativa e che motivano la posizione del nostro sindacato».

Precari. Ieri sciopero nazionale per i lavoratori dei call center. In piazza a Roma per la 'buona occupazione'


La manifestazione di ieri
(20/09/2008)
da Ami agenzia multimediale italiana

Sciopero di tutti i lavoratori delle telecomunicazioni. Il popolo dei precari si mobilita «a difesa della buona occupazione, contro il dumping delle imprese più scorrette, per maggiori controlli ispettivi, per una maggiore responsabilità dei committenti e per la stabilizzazione dei lavoratori precari ancora presenti nel settore».

Alle 10,30 in piazza della Repubblica, convergono i precari dei Call Center per una manifestazione indetta dalle categorie nazionali Slc Cgil - Fistel Cisl- Uilcom. «L'indebolimento dell'attività ispettiva, il riproporsi di meccanismi di gara al massimo ribasso, e la stasi degli strumenti di monitoraggio precedentemente attivati presso il Ministero del Lavoro, rischiano di rafforzare comportamenti irresponsabili e sleali da parte di numerosi imprenditori del settore», affermano i confederali in una nota unitaria firmata da Gabriele Mazzariello e Cecilia Taranto della Cgil di Roma e Lazio, Paolo Rigucci della Cisl di Roma e Franco Dore della Uil Roma. «L'altro grave rischio – proseguono – è poi quello che si produca il dumping contrattuale, scaricando così ulteriori problemi sui lavoratori stabilizzati, che sono ad oggi circa 8.000, mentre i call center che hanno chiuso gli accordi rappresentano solo il 10% del totale delle aziende presenti nel territorio. L'importante presenza di questo settore nella nostra realtà deve invece essere occasione di lavoro sicuro e garantito per migliaia di giovani». Per questa ragione i confederali del settore richiedono con forza al governo che la data di scadenza indicata del decreto millepropoghe rimanga il 30 settembre per la conclusione degli accordi per le stabilizzazioni dei lavoratori.

Nel frattempo a poca distanza dal luogo del concentramento, in via Cavour presso il centro Congressi, si tiene l'assemblea nazionale dei precari a cui aderiscono lavoratori sia del settore pubblico - hanno già dato la loro adesione Sanità, Enti Locali, Università e Ricerca, Vigili del Fuoco, Croce Rossa, Scuola - che del lavoro privato come Poste, Rai, SKY, Alitalia, editoria e telecomunicazioni, senza tralasciare il settore degli esternalizzati e dei lavori socialmente utili. Obiettivo dell'incontro riportare all'attenzione dell'agenda politica la questione precarietà, «'rimossa' dal centro destra come dal centro sinistra» ma soprattutto sarà il momento per costruire lo sciopero generale previsto per il 17 ottobre prossimo.

In particolare viene messo sotto accusa il decreto legge 112 con cui il governo avrebbe «provveduto al blocco delle stabilizzazioni di oltre 200.000 precari della Pubblica Amministrazione e all'introduzione di norme anti-precari che bloccano ogni speranza di trasformazione a tempo indeterminato di centinaia di migliaia di lavoratori precari anche nel privato».

martedì 9 settembre 2008

SCIOPERO NAZIONALE E MANIFESTAZIONE DI TUTTI LAVORATORI DEI CALL CENTER



SLC - CGIL Sindacato Lavoratori Comunicazione
FISTel - CISL Federazione Informazione Spettacolo e Telecomunicazioni
UILCOM - UIL Unione Italiana Lavoratori della Comunicazione

19 Settembre 2008 – Roma

Il settore dei call center ha conosciuto in questi anni una profonda evoluzione, con migliaia di lavoratori stabilizzati e con un impegno congiunto dei Sindacati e delle Istituzioni (Ministero del Lavoro, Servizi Ispettivi, Inps, Inail) per contrastare il ricorso al lavoro precario e irregolare. Questo impegno ha portato anche i principali committenti – soprattutto sull’inbound – ad assegnare le nuove commesse tenendo conto del nuovo costo del lavoro e del tentativo di scommettere sulla qualità dei servizi.

Purtroppo molto rimane ancora da fare. Vi sono decine di call center che – ricorrendo al lavoro a progetto, nonostante anche le recenti circolari del Ministero del Lavoro – continuano ad alimentare fenomeni di dumping generando lavoro precario e mal pagato. Tutto ciò avviene a danno delle imprese che hanno stabilizzato e che più vogliono investire, invece, sulla qualità e a danno degli oltre 24 mila lavoratori stabilizzati e a danno di tutti i lavoratori delle aziende di TLC.

Occorre rafforzare ulteriormente l’azione ispettiva, in particolare verso quelle imprese che lavorano sull’outbound, per verificare il rispetto della circolare n. 8/08 del Ministero del Lavoro.

Occorre che i committenti sottoscrivano una vera e propria “carta della responsabilità”, impegnandosi su tutte le commesse a non praticare gare al massimo ribasso ed in ogni caso ad assegnare attività solo a chi ha lavoratori subordinati e rispetta le norme del CCNL e della 626/94 (legge sulla salute e sicurezza).

Occorre attivare nuovamente il Tavolo nazionale sui Call Center presso il Ministero del Lavoro, anche per sapere che fine hanno fatto gli oltre 8 mila verbali sanzionatori frutto dell’attività ispettiva fino intrapresa.

Occorre introdurre nel settore delle TLC clausole sociali innovative a garanzia dei lavoratori nei casi di cambi di appalto.

Per la difesa dell’occupazione dei lavoratori a tempo indeterminato. Per stabilizzare gli oltre 30 mila lavoratori con contratto a progetto (la maggioranza dei quali andrebbero trasformati in contratti subordinati). Per una crescita del settore basata sulla qualità e nuovi servizi e non sulla sola competizione su salari e diritti. Per una più efficace lotta al lavoro irregolare e per una maggiore responsabilità dei committenti.

Le Segreterie Nazionali di SLC-CGIL, FISTEL-CISL e UILCOM-UIL invitano tutti i lavoratori dei call center alla massima mobilitazione e alla massima partecipazione alla grande manifestazione nazionale che si terrà il 19 settembre prossimo a Roma, in contemporanea con lo sciopero nazionale di tutte le aziende di call center del settore TLC.

sabato 6 settembre 2008

Precarie di un call center licenziate si mettono all’asta su "You tube"

di Mariangela Maturi
Il Manifesto del 02/09/2008

Undici lavoratrici inventano un’originale forma di protesta contro il decreto che ha permesso all’Asl di mandarle a casa. Undici donne, undici storie diverse. E una cosa in comune, il lavoro precario e la crudeltà di un licenziamento senza preavviso che implica difficoltà per il mutuo, dolorose preoccupazioni, problemi a mantenersi e a mantenere i proprio figli.

La vicenda della dipendenti del call center di prenotazione dell’ospedale di Legnano (Milano) purtroppo è simile a molte altre storie legate al precariato. Ma questa volte le lavoratrici si sono inventatate una forma di protesta nuova: mettono all’asta loro stesse, il loro cervello, le loro capacità e anche i loro corpi. «Potevamo dividerci e andare a raccontare le nostre storie personali in giro, invece abbiamo fatto la scelta di restare unite».

Si sono esposte in prima persona, hanno fatto un video di protesta e si sono messe all’asta su internet: «E’ una provocazione, a questo punto vendiamo anche il nostro corpo pezzo per pezzo». Nel video, che gira su «you tube», si vedono loro in ufficio, zitte, ciascuna porta in mano un cartello: «No allo sfruttamento dei precari», oppure «ci mettiamo all’asta in cambio di un posto di lavoro».

L’età media di queste undici donne è trentacinque anni, c’è quella giovane e impegnata, quella madre single, quella che viene già da altre storie di esuberi aziendali. Lavoravano per il call center della Asl 1, che raccoglie 4 ospedali e un bacino di utenza di un milione di persone; nessuna di loro si è mai assentata per false malattie e il loro lavoro lo conoscevano bene, qualificate e preparate anche all’uso di sistemi informatici. Il call center, raccontano, è nato con loro sei anni fa; dopo i primi tre anni «ci avevano ventilato un’ipotesi di stabilizzazione contrattuale, poi hanno scelto di rinnovare per soli tre anni.

Solo ora ci rendiamo conto della nostra ingenuità». La politica del governo sul precariato ha affossato le ultime speranze: il decreto Brunetta prevede che per i lavoratori impiegati per più di tre anni in un quinquennio non ci sia il rinnovo di questo tipo di contratto. E a quel punto, l’Asl ha deciso di aderire al centro prenotazioni unico per le visite e chiudere il call center dell’ospedale. Il 27 agosto, cioè quattro giorni prima di mandarle a casa, è stato comunicato che «il contratto era considerato risolto». Senza preavviso, senza temporeggiare per agevolarle nella ricerca di un altro lavoro.

Senza considerare che il loro ruolo poteva essere positivo: «La nostra presenza poteva aiutare l’utenza locale». Forti della loro coesione, le lavoratrici non si sono arrese, e hanno raccontato con fantasia la loro storia. Nel frattempo i sindacati di base sta cercando di aiutarle, pur con le mani legate: ogni anno tutti i dipendenti dell’ospedale donano un’ora del loro lavoro ad associazioni (come Emergency o Medici senza Frontiere), quest’anno il ricavato dell’iniziativa andrà alle donne licenziate.

La solidarietà purtroppo non basta, ma di certo aiuta. «Il problema è che con la politica di Formigoni sulla sanità pubblica il destino di molti lavoratori sarà identico al nostro. Noi siamo solo le prime». La loro iniziativa, per quanto clamore faccia, forse servirà a fare un po’ di pressione: «Ci hanno detto che sta succedendo la stessa caso al call center di Melegnano, speriamo di far muovere qualcosa». Lo meriterebbero, almeno per la fantiasia e l’intrapredenza che hanno dimostrato. E poi li chiamano fannulloni.