venerdì 4 aprile 2008

La vita della generazione “usa e getta”


Call Center, La vita della generazione “usa e getta”

di Roberto Loddo

Chi lavora in un call center rappresenta l’immagine disperata di una generazione, che, diversamente dalle precedenti, è segnata dalla completa incertezza del presente e dalla certezza della precarietà nel futuro. Chi lavora nei call center vive in mezzo a continui controlli di produttività, accompagnati da occasioni di lavoro poco qualificate, poco retribuite, poco stabili e poco tutelate, con ricorrenti e prolungati periodi di totale assenza di lavoro. Immagina il futuro appeso ad una cornetta telefonica e un paio di cuffie. Fa parte di una generazione sfigata, che ha visto perdere i diritti e le conquiste sociali combattute dalle battaglie dei genitori, ed è cosciente che le uniche cose che vanno al di là dei pochi soldi che riceverà, sono le incertezze, e in alcuni casi anche il mobbing. Questo lavoro nella sua immagine più infame è usurante, con rischi psicologici e fisici ancora non definiti per la salute. Continua

15 commenti:

Precari in Linea ha detto...

Giornata per i Diritti dei/delle lavoratori/trici dei CallCenter

Vogliamo organizzare una Giornata di Festa e Confronto con tutte e tutti gli operatori telefonici dei call center di Cagliari.

Pensiamo di organizzarla a metà o fine Maggio, pensiamo di farla al Teatro NanniLoy, con Dibattiti, Teatro, Musica, Arte e Poesia, magari con un Concerto finale.

Se vuoi partecipare all'organizzazione di questo evento, se hai dei suggerimenti de darci, se vuoi aderire alla Rete dei Lavoratori e delle Lavoratrici dei Call Center scrivici subito su precarinlinea@gmail.com
oppure invia un sms a Pimpa, al 3472129238.

Non perdiamoci di vista! Mettiamoci in rete!

Anonimo ha detto...

Buffoni!

Anonimo ha detto...

Condivido. Bravo Roberto

Anonimo ha detto...

perchè non pensare ad un censimento? quanti siamo a cagliari? quanti call center ci sono in sardegna? quanti contratti di stabilizzazione ad oggi? se vedo che iniziate io vi darò una mano.
nico da macomer

Anonimo ha detto...

Ciao Nico,
Hai fatto una proposta interessante e utile. Discutiamola appena possiamo, io proporrei una nuova inchiesta reginale.

Apparte i dati che ho riportato nel mio articolo, (dell'Assocontact, l’associazione delle imprese dei call center aderente alla Confindustria, e della CGIL) Non abbiamo apparte sassari dati certi e definitivi.

Vorrei sapere quanta disponibilità c'è tra di noi per organizzare una assemblea, a breve, non solo per conoscerci e confrontarci, ma per organizzare al meglio la Giornata per i diritti dei lavoratori dei call center, che come Precarinlinea abbiamo proposto di fare per Giugno.

Fatevi sentire, saluti.
Roberto

Anonimo ha detto...

inchiesta regionale, scusate gli errori

Anonimo ha detto...

prrrrrrrr

Anonimo ha detto...

Complimenti per le musiche!

Anonimo ha detto...

Musica deprimente sto blog!!
da tagliarsi le vene!!!

Anonimo ha detto...

Non mettete musica troppo pesante, qualcosa di leggero che non dia fastidio che so... Bethoven.. Bach... mettete la sinfonia del cigno che muore.. c'e l'avete?

Anonimo ha detto...

si a monte urpinu!

Anonimo ha detto...

Call center e precariato: Aule di ingiustizia Stampa E-mail
Scritto da Alessandro Villari

Una sentenza recente del Tribunale di Milano ha stabilito che una lavoratrice di un call center, con contratto a progetto, aveva in realtà diritto a essere considerata fin dall’assunzione una lavoratrice subordinata a tutti gli effetti. L’azienda, una società di consulenza dai tratti inquietantemente simili al call center del film “Tutta la vita davanti”, è stata condannata a reintegrare la lavoratrice, a pagarle tutti gli stipendi arretrati da quando era scaduto il contratto a progetto dichiarato illecito, e a versare all’INPS tutti i contributi.

È un precedente importante: nonostante il call center operasse in outbound (e quindi fosse legittimato dalla famigerata circolare Damiano a utilizzare contratti a progetto) il Giudice ha stabilito che il progetto in realtà non esiste, perché coincide di fatto con le attività che l’azienda svolge normalmente.

Qui, purtroppo, finiscono le buone notizie per la lavoratrice che ha vinto la causa. Infatti, appena usciti dall’aula del Tribunale, abbiamo appreso che la società, una s.r.l., è in liquidazione e nel giro di pochissimo tempo verrà dichiarato fallimento.

La conseguenza è che la lavoratrice, nonostante abbia ottenuto una sentenza che le dà diritto a un posto di lavoro e a circa 12.000 euro di retribuzioni arretrate, non riceverà praticamente nulla: di sicuro non il posto di lavoro, e degli arretrati soltanto poche briciole, possibilmente non prima di un paio d’anni. I contributi, invece - e per lei è l’unica nota positiva - li coprirà l’INPS, anche questi non senza una lunga e complicata trafila burocratica.

Non si tratta certamente di una vicenda isolata, ed è questo il punto: il meccanismo della responsabilità limitata – il vero fondamento economico-giuridico del capitalismo – consente legalmente ai padroni di aprire un’azienda, ricavarne profitto per qualche anno e poi, quando i profitti calano, dichiarare fallimento senza subire praticamente alcuna conseguenza. I debiti accumulati, la maggior parte dei quali nei confronti dei lavoratori, restano insoluti e pesano esclusivamente sulle spalle dei lavoratori: non solo i compensi a cui hanno diritto non vengono pagati, ma i contributi sono a carico dell’INPS, cioè in ultima analisi ancora a carico dei lavoratori.

L’ipocrisia del sistema capitalista non potrebbe essere più evidente, se si pensa che Confindustria ha consumato nei mesi scorsi il furto del TFR e insiste per una nuova controriforma delle pensioni, giustificando queste misure con il presunto deficit dell’INPS: è chiaro invece che sono proprio i padroni, e non le pensioni dei lavoratori, a gravare sul bilancio, costringendo lo Stato ad accollarsi tutti i loro debiti! Si tratta soltanto di un'altra forma con cui i padroni, grandi e piccoli, si accaparrano i profitti e socializzano le perdite.

Questa è la vera natura del capitalismo: un sistema fondato sullo sfruttamento e sul furto sistematico di risorse da parte di una piccola minoranza di padroni a danno della larga maggioranza della popolazione. Bisogna comprendere che in uno Stato capitalista una legge, anche quella più progressista, non può essere sufficiente a difendere i diritti dei lavoratori: in ultima analisi e nel suo complesso, la legge non può che proteggere e garantire lo sfruttamento e il profitto, e la perpetuazione del sistema.

I diritti dei lavoratori si difendono efficacemente soltanto con le lotte e le mobilitazioni, gli unici fattori in grado di costringere lo Stato a promuovere leggi progressiste e i giudici a interpretarle a favore dei lavoratori. Ma, come il nostro caso dimostra, questo non basta ancora: poiché il sistema capitalista si fonda sullo sfruttamento e sul disprezzo dei diritti dei lavoratori, per difendere questi diritti e abolire lo sfruttamento è necessario che le lotte siano coscientemente indirizzate al rovesciamento del capitalismo.

È importante che i lavoratori siano consapevoli dei loro diritti, ed è giusto che, per difenderli, seguano anche le vie legali. Ma è ancora più importante comprendere e spiegare che leggi e sentenze non bastano: nel capitalismo non c’è soluzione allo sfruttamento, occorre organizzare le lotte che porteranno a una nuova società.

Roberto Loddo ha detto...

Epifani: "Resto al timone"

AprileOnline, 31 maggio 2008,

Epifani: Conferenza Cgil Lottare uniti sui contratti, e sulla pubblica amministrazione non ci sarà una battaglia di retroguardia.

Presto il leader della Cgil presenterà la sua proposta su criteri e nuovi nomi della segreteria. Tra possibili new entry Camusso, Megale, Podda, Panini e Solari

Uniti, senza giocare in difesa. E' uno schema offensivo quello messo in campo dal leader della Cgil in chiusura della conferenza di organizzazione. Un appuntamento che diventa l'occasione - davanti ai 950 delegati - per togliere ogni dubbio anche sulla sua permanenza alla guida del sindacato.
"Rassicuro tutti che il segretario generale è qui e, se lo volete, qui resterà", ha detto Guglielmo Epifani, rispondendo indirettamente alle voci che lo davano in uscita per una candidatura alle elezioni europee dell'anno prossimo nella fila del Pd.

Saldo al timone, Epifani sprona quindi i suoi e sottolinea il ruolo "forte e autorevole" della Cgil che serve al Paese. "E' un'organizzazione che pesa e che conta, la cui autonomia da' fastidio", ha sostenuto. E nella partita sulla riforma del modello contrattuale lancia un invito sia a "restare uniti" e a "lottare uniti, per far vincere le cose su cui ci si è spesi" sia a "non giocare in difesa", ma ad "uscire e a rischiare: non possiamo restare fermi - ha affermato - anche perché dobbiamo essere in condizione di dare una speranza motivata alle persone in difficoltà". E, pur ammettendo la presenza di problemi all'interno del sindacato, sottolinea come "contraddizioni ci sono anche per gli altri, ad esempio dentro Confindustria e dentro il governo".

Mentre l'appuntamento per la ripresa del confronto con gli industriali appare vicino ("diciamo che da lunedì 9 giugno ogni giorno è buono per ripartire", ha anticipato il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni), la Cgil chiarisce anche la sua posizione sulla riforma della Pubblica amministrazione. Un'altra partita che "non è una battaglia di retroguardia", ha detto Epifani. Dopo lo strappo della Cgil al tavolo convocato dal ministro della Funzione pubblica, Renato Brunetta, dal palco della conferenza di organizzazione Epifani ha affermato che il suo sindacato è "pronto" ad affrontare la riforma della Pa ma "contrattando di più e utilizzando la leva del confronto". Insomma, al di la' della questione del metodo sollevata da Cgil, ha chiarito il numero uno, "in realtà c'è un grande problema di sostanza".

Sul versante interno, replicando all'invito rivolto dal segretario generale della Fiom, Gianni Rinaldini, a "non scannarsi" sulle nomine, Epifani ha annunciato che proporrà al direttivo nomi e criteri di scelta dei candidati a entrare in segreteria, dopo l'uscita di Carla Cantone per fine mandato e di Achille Passoni e Paolo Nerozzi diventati parlamentari del Pd. "Avanzerò una proposta al direttivo sui criteri di scelta e sui nomi per chiudere in fretta questa fase - ha detto Epifani - il rinnovo della segreteria rappresenta sempre una scelta difficile per tutti. Ma tutti ci dobbiamo mettere al servizio dell'organizzazione, perchè non c'è nessuna organizzazione al servizio di ciascuno di noi".
Tra le possibili new entry si fanno i nomi di Susanna Camusso, segretario della Cgil Lombardia; Agostino Megale, presidente dell'Ires; Carlo Podda, segretario generale della funzione pubblica; Enrico Panini, leader della Flc; Valeria Fedeli, segretario della Filtea; e Fabrizio Solari, segretario della Filt. I posti a disposizione sono tre, ma potrebbero diventare quattro se il segretario confederale Marigia Maulucci lascerà per assumere la responsabilità del nuovo istituto intitolato a Bruno Trentin, che accorperà Ires e Isf.




Intanto, una prova di unità si è avuta oggi sul documento conclusivo della conferenza, passato con 582 voti favorevoli, 129 astenuti e 16 voti contrari (tra cui quello di Giorgio Cremaschi, segretario nazionale della Fiom e leader della Rete 18 Aprile, che sembrava inizialmente intenzionato a presentare un documento alternativo). Il testo sostanzialmente conferma quello discusso nel corso dei lavori preparatori (dall'emergenza salariale alla centralità del sindacato nel territorio, dalle questioni dei migranti al ruolo dei giovani e delle donne).
Proprio sottolineando la priorità della "restituzione fiscale per lavoratori dipendenti e pensionati", Epifani è tornato a bocciare le misure decise del governo sull'azzeramento dell'Ici e la detassazione di straordinari e premi; e ha annunciato che la piattaforma unitaria con Cisl e Uil su fisco e redditi sarà presentata prima del Dpef.

Anonimo ha detto...

Ravenna, la denuncia di Ancisi: "Un call center la centrale operativa della Municipale"

3 giugno 2008
RAVENNA - "Il sindacato UIL, già il 21 marzo scorso, aveva rivolto al sindaco di Ravenna una richiesta di riassetto delle funzioni svolte dalla centrale operativa della Polizia municipale. Non essendo a conoscenza, a tutt'oggi, della risposta, se ne ripropongono, condividendoli, i contenuti. Attualmente, ogni contatto telefonico tra cittadino e Comune di Ravenna viene dirottato, in assenza della presenza al centralino, alla centrale operativa del corpo di polizia municipale".



E' quanto denuncia il capogruppo di Lista per Ravenna, Alvaro Ancisi.



"Considerato - dice Ancisi - che il contatto telefonico dall'esterno è attivato, in genere, per contattare un ufficio o una persona, oppure per richiedere un'informazione sui percorsi da intraprendere per i tanti servizi offerti dall'amministrazione comunale, tale metodologia non sembra rappresentare il miglior assetto organizzativo. In effetti, la centrale operativa non può essere ricondotta ad attività di
centralino in quanto ha ben altri compiti sui quali si deve concentrare.



"Il numero della centrale - prosegue l'esponente di Lista per Ravenna - deve essere poi facilmente raggiungibile per le chiamate di emergenza e non può essere caricato da comunicazioni che nulla hanno a che vedere con l'attività primaria del servizio. La polizia municipale non può, dunque, se non in casi del tutto eccezionali, sostituirsi agli uffici competenti nella gestione delle relazioni e delle informazioni al pubblico, che, per loro natura e attribuzione di compiti, sono in grado di fornire all'utente informazioni ad ampio raggio. Non si tratta, quindi, di affrontare il tema di chi risponde al cittadino in assenza del centralino così come è stato fatto ad oggi, quanto di proporre un assetto rispondente alle esigenze della più ampia e specifica informazione nei confronti dell'utente riconducendo gli uffici ed i servizi alle loro principali attività, anche in ragione della delicatezza di alcuni temi, come, per citare solo l'ultimo esempio, le dimissioni volontarie del lavoratore".



"Per quanto sopra richiesto dal sindacato della UIL, si chiede di conoscere quale risposta può essere data".

Anonimo ha detto...

09/06/2008 11.01.00
Rapporto di Ires e Nidil CGIL: lavoratori atipici, busta paga da 700 euro

Rapporto annuale dell´Osservatorio sul lavoro atipico che prende in esame i lavoratori parasubordinati. In Italia sono 836mila i lavoratori a rischio precarietà. Cala il numero, ma non migliora la condizione economica
Sono 836 mila i lavoratori italiani a rischio di precarietà. È il popolo dei collaboratori a progetto, “giovani adulti” (età media 34 anni) che in busta paga percepiscono in media 8.800 euro lordi l´anno: in mensilità, pari a euro 733,3. Cifra rimpinguatasi nell´ultimo triennio talmente poco (appena 400 euro) da impedire il recupero dell´inflazione. La buona notizia è che nel 2007 i precari sono diminuiti di 20 mila unità rispetto all´anno precedente. Quella brutta è che non hanno concretamente migliorato la propria condizione economica, anche perché vengono impiegati in media solo 7 mesi su 12. Soprattutto, i “flessibili” rimangono intrappolati nella loro condizione per lungo tempo (il 33 per cento lo è già da tre anni), superando spesso il confine che li separa dal precariato. È quanto emerge dal “Rapporto annuale dell´Osservatorio sul lavoro atipico”, presentato nella sede della Cgil nazionale. Il dossier, giunto alla terza edizione, è curato dalla Facoltà di Scienze della comunicazione della Sapienza insieme all´Ires e al Nidil Cgil.

Lo studio prende in esame tutti i parasubordinati, cioè gli iscritti alla gestione separata Inps (che svolgono mansioni a metà tra dipendenti e autonomi). “Il fenomeno – ha spiegato il sociologo Patrizio Di Nicola, curatore della ricerca – pare segnare negli ultimi anni una sostanziale stabilità”. Nel periodo 1996–2004 questi lavoratori erano aumentati del 108 per cento (con un incremento medio annuo del 9,6 per cento). Nel 2007 sono risultati 1.566.978, solo +2,4 per cento rispetto all´anno prima. Un´inversione di rotta che secondo l´Osservatorio deriva sostanzialmente da tre fattori: l´attenzione che il ministero del Lavoro del governo Prodi ha attribuito alla lotta alla precarietà e alle false collaborazioni; l´aumento del contributo pensionistico di ben cinque punti percentuali rispetto al reddito (che ha reso meno conveniente per le aziende il ricorso alle collaborazioni); gli incentivi per le aziende a stabilizzare i dipendenti. “È un segnale per il nuovo governo - ha sottolineato il segretario confederale della Cgil, Fulvio Fammoni - perché i dati dimostrano che volendo si può intervenire per migliorare la condizione dei precari, ad esempio aumentando le ispezioni com´è stato fatto recentemente. Ma resta l´anomalia italiana, perché da noi i contratti di collaborazione sono ancora troppi rispetto al resto d´Europa”.

Parasubordinato non significa precario. In realtà, sottolineano gli estensori della ricerca, alla categoria appartengono due grandi gruppi: da una parte i cosiddetti “tipici” (amministratori, sindaci di società e partecipanti a commissioni), che costituiscono un terzo del totale. Per loro non vi sono molti problemi: si tratta di lavoratori di fatto “autonomi”, il cui reddito può arrivare fino a 29.000 euro l´anno. Dall´altra parte c´è la galassia dei veri “atipici”, in larga maggioranza titolari di contratti di collaborazione, che rappresentano i restanti due terzi dell´universo sotto esame. Su di essi si concentra la ricerca, in particolare sugli “atipici esclusivi”, che percepiscono reddito da una sola fonte.

Sei precari su dieci rimangono atipici per due anni di seguito, oltre il 37 per cento vi resta per l´intero triennio preso in considerazione. Tutti con la stessa tipologia contrattuale, cioè senza miglioramenti economici. I “flessibili di lunga durata” sono per la precisione 789.690, in prevalenza maschi, con età media di 41 anni per le donne e di 47 per gli uomini, e un reddito medio di 12 mila euro (contro i 40 mila dei flessibili “tipici”). Si tratta soprattutto degli addetti alla contabilità e alla fiscalità aziendale, “evidentemente utili alle imprese più come dipendenti che come collaboratori”, ha sottolineato Di Nicola. All´opposto, tra i contratti più brevi, ci sono gli addetti ai call center, ai recapiti e alla pubblicità.

Rimane alto il dislivello territoriale. Al Nord si concentrano i lavoratori tipici (amministratori di società ed Enti ed assimilati) e la quota di lavoro precario è al di sotto del valore medio nazionale. Nelle regioni del Centro-Sud, al contrario, il fenomeno è ai massimi livelli: in Calabria e nel Lazio sono precari tre parasubordinati su quattro, in Campania, Puglia e Sicilia ben due su tre. All´ultimo posto tra le province è Reggio Calabria (82,2 per cento). Quanto ai settori, le percentuali maggiori di precariato rispetto al totale di parasubordinati si registrano nelle comunicazioni (87,2 per cento), nei servizi di consulenza (76,5), nella ricerca e nella sanità (76,6 e 73,2), le più basse nell´industria (30) e nel commercio (40).

“Anche la discriminazione di genere è sempre più netta – ha sottolineato la segretaria generale del Nidil, Filomena Trizio –, le donne guadagnano il 30 per cento in meno rispetto agli uomini pur in presenza di durate contrattuali simili”. Nel dettaglio, il 57 per cento dei precari è donna. Si tratta di 480 mila lavoratrici, la quasi totalità delle quali intrattiene rapporti di collaborazione con un solo committente. In pratica, spiega il dossier, “su 100 donne che svolgono un lavoro parasubordinato, più di 70 vivono una situazione di insicurezza dovuta alla mancanza di continuità del rapporto di lavoro e di un reddito adeguato su cui pianificare la vita presente e futura”.