martedì 23 settembre 2008

I call center dicono «basta»


di Antonio Sciotto
Il Manifesto,
lunedì 22 Settembre 2008

Le imprese Assocontact: assumiamo se aumenta il peso del salario variabile

Finalmente si rivede qualcuno in piazza, e ad avviare l’autunno (si spera) caldo sono loro, i ragazzi dei call center. Una bella manifestazione sotto la pioggia di Roma, con 5 mila operatrici e operatori che per una giornata si sono «sloggati» dalla cuffietta per dire basta alla precarietà e ai bassi salari.

E, soprattutto, basta all’etichetta di «sfigati»: perché amano il loro lavoro, lo vogliono rendere sempre più professionale, ma per poter lavorare bene bisogna vivere bene. Serve un futuro sicuro, servono soldi per arrivare tranquilli a fine mese. «Noi non ci vogliamo più vergognare di dire lavoro in un call center - urla Luca dal palco - Ma le imprese ci devono dare risposte, come le aziende committenti. E il governo».

Sì, il governo è il grande assente: il ministro del Welfare Maurizio Sacconi non ha mai riaperto il tavolo sulle stabilizzazioni, e ha bloccato di fatto gli ispettori del lavoro. Hanno sempre meno fondi e mezzi, e ben 8 mila ispezioni già effettuate sono chiuse nel cassetto, non se ne conosce l’esito. In attesa di un posto stabile, cocoprò ormai da anni, ci sono almeno 30 mila operatori. Le aziende committenti per il momento sono in stand-by : aspettano il rinnovo del contratto, da dicembre in poi. Le imprese in appalto, invece, guardano al tavolo Confindustria-sindacati sul modello contrattuale, e si offrono come «terreno sperimentale»: Assocontact, l’associazione aderente a Confindustria che raggruppa le aziende di outsourcing , avanza una proposta che potrebbe rivoluzionare l’attuale concetto di salario garantito. «Noi siamo anche disposti ad assumere tutti a tempo indeterminato - spiega il presidente Umberto Costamagna - ma si deve puntare molto di più sulla produttività, ampliando lo spazio del salario variabile rispetto a quello fisso.

Per noi che lavoriamo su commesse, è indispensabile». «Governo licenziato, potere al precariato» Slogan coloratissimi: «Sacconi, Sacconi, ci hai rotto li...». «Lavoro a progetto, sai dove lo metto». «Lavoro precario, vogliamo più salario». I lavoratori vengono da tutta Italia, dalla Sicilia al Piemonte, passando per Calabria, Puglia, Sardegna. Molti hanno dovuto viaggiare di notte: ma non potevano mancare alla prima manifestazione nazionale dei call center. L’adesione, secondo le cifre diffuse da Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom, è stata del 40%, con punte del 60%. Più bassa, come di prammatica, quella registrata da Assocontact: 15% con punte del 50%. Altra nota, il saluto inviato da Massimo Ghini e Sabrina Ferilli, interpreti del film Tutta la vita davanti di Virzì: «Lo stress di una prestazione ripetitiva e l’incertezza sul futuro possono spegnere l’entusiasmo della vita: la nostra solidarietà a sostegno delle giuste rivendicazioni per le quali, da anni, state lottando».

Stefania, Rsa Cgil, ci racconta del call center Inps-Inail di Bitritto (Bari), che pur essendo in appalto è stato citato come esempio di massima efficienza della pubblica amministrazione dal ministro Brunetta in un’intervista al Giornale : e allora perché i 160 pugliesi, e varie decine in altre città, sono appesi al rinnovo della commessa in gennaio? «Chiediamo a Inps e Inail una clausola sociale: conservare il posto, qualsiasi sia il vincitore della gara». Una Rsu Cub parla a nome degli esternalizzati Wind: il giudice ha riconosciuto loro il diritto al premio di risultato e alla sanità integrativa, che avevano perso. Antonia, della calabrese Datel/Telic spiega le difficoltà di una «vita a progetto», della «lotta tra poveri» che si scatena tra cocoprò e interinali. Simone, della ligure Call& Call, ricorda la necessità di applicare le circolari Damiano, soprattutto l’ultima, quella che riconosceva di fatto, anche agli outbound , il diritto al lavoro subordinato.

Ci sono anche Nidil, Alai e Cpo. L’ex ministro Cesare Damiano (Pd), presente al corteo, è più volte applaudito: il lavoro che aveva fatto, per quanto parziale e spesso criticato da chi avrebbe voluto di più, risulta comunque mastodontico rispetto al nulla totale di Sacconi. «Di noi non si parla più, ci hanno dimenticato» «Dei call center non si parla più: il governo non ha neppure cancellato le leggi. Semplicemente, non applica quelle vigenti. Il segretario Slc Cgil Emilio Miceli chiede a Sacconi di riaprire l’Osservatorio sui call center, avviato dal passato governo, e soprattutto di riattivare gli ispettori del lavoro. Ricorda poi i 1500 operatori della Alicos di Palermo, che lavorano per Alitalia: rischiano il posto, al tavolo nessuno parla di loro.

E ricorda i precari delle Poste e della Rai, traditi dopo anni di attesa da una «legge pirata» dell’attuale governo. Alessandro Genovesi, Slc Cgil, chiede insieme a Fistel e Uilcom «l’applicazione della seconda circolare Damiano: la gran parte degli outbound sono di fatto dipendenti». E chiede anche ai committenti - spesso grandi compagnie telefoniche di «smetterla con le gare al massimo ribasso». Il presidente di Assocontact Costamagna, ci spiega di essere «favorevole alla ripresa dell’Osservatorio e di un tavolo ministeriale».

Ma invoca una riforma del settore: «Noi possiamo assumere tutti, ma solo se si punta sulla produttività - ripete - I committenti ci pagano solo sul prodotto effettivamente lavorato, e allora è giusto garantire un fisso al lavoratore perché sia sereno, ma buona parte della retribuzione deve essere variabile, in base ai risultati, perché i nostri stessi ricavi sono variabili». L’esempio fornitoci è quello di un fisso sui 7-8 euro l’ora, con il resto della retribuzione guadagnato solo nel caso che la telefonata sia andata a buon fine. La «svolta» potrebbe essere proposta ai sindacati al rinnovo del contratto, in dicembre, nel caso in cui si trovasse spazio per parlare dell’ outsourcing . Ma certo, in questo modo si dovrebbe mettere in soffitta il contratto nazionale valido per tutti, e lo stesso principio unificatore della seconda circolare Damiano.

8 commenti:

Roberto Loddo ha detto...

Call center,
la vita oltre la cornetta
sciopero contro l'inutilità sociale

di Michela Murgia*
da l'altravoce.net

Fate la prova, e ditemi se non c'è qualcosa di tragicamente surreale nel mettersi a leggere nel sito ufficiale della Toscana la notizia dello sciopero nazionale dei lavoratori nei call center, e contemporaneamente vedere nella colonna di sinistra gli annunci pubblicitari di Google fare capolino con scritte accattivanti come: “il tuo call center dalla Romania a 8 euro l'ora!”. Che poi tradotto significa che alla telefonista di euro ne andranno due se va bene, dodici euro lordi al giorno. Allora uno sorride e dice certo, ma quella è la Romania. Non lo è, invece. È il mercato del telemarketing low cost, dove Italia e Romania giocano con le stesse regole: vince chi spara più in basso, senza limiti
.

[CAP3-CULT]Il gioco si chiama dumping, ed è possibile solo perché lo permettono i contratti atipici, quelli che lasciano la gente sola davanti alla contrattazione del lavoro, con nessuna forza per negoziare condizioni diverse dal brutale prendere o lasciare: il prezzo del tuo tempo non lo decidi tu, e se ti dicono che vale un euro l'ora, fattene una ragione o sei fuori. È il mercato, baby. Molti di quelli che stanno a queste condizioni non lo fanno per i soldi, nemmeno io l'ho fatto per quello. Il bisogno che nessuno può dire a voce alta è che ti serve disperatamente qualcosa da fare, qualunque cosa che non siano i piatti della sera prima. È l'urgenza d'infilarsi una cosa che non somigli neanche a una maledetta tuta da ginnastica, è sentire la meravigliosa differenza tra la domenica e gli altri giorni, è morire di stanchezza, ma non di noia. È la paura di dare ragione a chi ti aveva detto che con quella laurea non avresti trovato mai un lavoro. Il terrore dell'inutilità è peggio che non avere soldi, e per questo per molto tempo nessuno ha discusso il meccanismo; non importa se non si diventa persone migliori vendendo l'ultima offerta adsl, è comunque sempre meglio che sentire la temperatura sociale che si abbassa di colpo quando ti chiedono "che lavoro fai?", e tu devi rispondere "nessuno". È peggio che avere un handicap, perché l'handicap gode della solidarietà sociale, ma l'inutilità non c'è chi te la perdoni: se non fai niente, sei niente. E allora, ti dici, non è meglio un euro all'ora? Tanto se ti lamenti non ti rinnovano il contratto, e allora sei fuori. Un rischio troppo alto. Se uno ha capito questo, sa perché il 40% di adesioni a uno sciopero fatto da quei lavoratori è un successo umano incalcolabile, la prova che c'è chi crede ancora di valere più di quanto lo pagano.

(*da "l'Unità.it")

Michela Murgia, scrittrice, è nata a Cabras nel 1972. Nel suo primo libro (”Il mondo deve sapere”), originariamente concepito come un blog, ha descritto satiricamente la realtà degli operatori telemarketing all'interno del call center di una importante multinazionale, mettendo in luce le condizioni di sfruttamento economico e manipolazione psicologica cui sono sottoposti i lavoratori precari di questo settore. Il libro, nato da una sua personale esperienza all'interno del telemarketing, è diventato l'omonima opera teatrale di David Emmer e ha ispirato la sceneggiatura cinematografica del film “Tutta la vita davanti” di Paolo Virzì.

Roberto Loddo ha detto...

23 Settembre 2008, 12:12

Il calendario delle iniziative dei lavoratori per l’autunno è fitto come una via crucis

inviatospeciale.com

La manovra finanziaria 2009 bussa alla porta del governo ed è grande il disordine sotto il cielo del mondo dei “lavori”. Ieri i sindacati confederali del pubblico impiego hanno presentato un fitto programma di mobilitazioni a sostegno del rinnovo del contratto, in vista di un’assemblea nazionale che si svolgerà a Roma il 17 ottobre. Secondo Fp-Cgil, Fp-Cisl e Uil-Pa, “la manovra non stanzia risorse sufficienti a rinnovare il contratto per il biennio 2008/2009”. Al contrario viene ribadita “la necessità che gli incrementi contrattuali vengano definiti a seguito e in coerenza con l’accordo sul nuovo sistema contrattuale, che dovrà riguardare inderogabilmente sia il settore pubblico sia quello privato”.

Il calendario delle iniziative è fitto come una via crucis: ieri si sono riuniti in assemblea i dipendenti del comparto Stato e delle Agenzie Fiscali presso tutte le Prefetture. Mentre per il 6 ottobre è già stata indetta un’assemblea generale di tutti i lavoratori degli enti pubblici presso le sedi provinciali del ministero del Lavoro per sollecitare la risoluzione della loro vertenza e la convocazione a Palazzo Chigi. Quattro giorni dopo, il 10, l’assemblea coinvolgerà anche i lavoratori ministeriali: finchè il 17 la protesta caratterizzerà l’intera categoria.

All’altro capo del mondo del lavoro, è montata la protesta dei lavoratori dei call center. Pochi giorni fa hanno manifestato per le vie della Capitale, esemplificando il profondo disagio vissuto in questo Paese dai lavoratori precari. Nel caso dei centralinisti, stiamo parlando di una categoria sottoposta a ritmi infernali, pagata una manciata di euro all’ora, controllata ossessivamente da superiori chiamati “tutor”. Una categoria brutalmente sfruttata, scesa in piazza sulla base di una piattaforma finalizzata “alla difesa della buona occupazione, contro il dumping delle imprese più scorrette”, per chiedere “controlli ispettivi, per una maggiore responsabilità dei committenti e per la stabilizzazione dei lavoratori precari ancora presenti nel settore”.

I centralinisti sopravvivono all’ultimo anello di una orrenda catena (appena prima degli immigrati costretti a raccogliere pomodori per dodici ore al giorno) sperimentando sulla pelle le strategie di outsourcing e la più complessiva frantumazione del tessuto produttivo. Un tessuto indebolito anno dopo anno dai capitani meno coraggiosi di un capitalismo senza idee. Come se la scorciatoia della compressione dei costi (a cominciare da quello del lavoro) potesse aprire spazi di qualità sul mercato internazionale.

La politica si mostra assai disattenta al problema, ma questa non è una notizia. Mentre in vaste aree del mondo imprenditoriale si è affermata negli anni l’idea di poter affrontare i nuovi assetti scaturiti dall’economia globalizzata inseguendo il modello cinese o albanese, mentre per anni i “padroni del vapore” hanno assistito impassibili alla fuga di cervelli: anche qui, niente di nuovo sotto al sole.

Il punto è che con il ritorno a palazzo Chigi di Silvio Berlusconi, il terreno sociale sembra spesso un campo minato, tra “fannulloni” dei ministeri, “privilegiati” di Alitalia e maestre in sovrannumero. Del resto, uno dei primissimi provvedimenti firmati dal ministro del Lavoro Sacconi ha riguardato i precari licenziati ingiustamente: il giudice non potrà più obbligare le imprese, nei casi in cui siano accertate irregolarità, ad assumere i lavoratori precari. Finora il magistrato che riscontrava irregolarità sul ricorso a uno o più contratti a termine, poteva obbligare il datore di lavoro a riammettere in servizio il lavoratore con un contratto a tempo indeterminato. Se passerà la nuova norma, il giudice dovrà limitarsi ad applicare all’azienda una sanzione di entità variabile tra le 2,5 e le 6 mensilità (la stessa prevista per le imprese al di sotto dei 15 dipendenti). Inoltre, è stata cancellata la possibilità di stabilizzare gli stessi precari, con la reintroduzione della facoltà di rinnovare all’infinito i contratti di lavoro a tempo determinato. Facendo carta straccia di quanto previsto nel Protocollo sul welfare firmato da Prodi e dai sindacati il 23 luglio 2007. Un Protocollo che fissava in 36 mesi (non necessariamente continuativi) il periodo di lavoro precario possibile presso una stessa azienda, rinnovabile di altri 36 nel caso di accordo raggiunto presso la direzione provinciale del lavoro alla presenza di un rappresentante sindacale. E alla luce dell’attuale fame di lavoro, quale sindacalista si sarebbe rifiutato di apporre la sua firma in calce alla prosecuzione di un’attività precaria? Eppure la domanda appare oggi superata. E dovremo probabilmente abituarci alle figure dei “precari a vita”.

Roberto Loddo ha detto...

CALL CENTER: ASSOCONTACT, IMPRESE VOGLIONO PROSEGUIRE NELLO SVILUPPO


(ASCA) - Roma, 18 set - Le imprese del settore di contact center in outsourcing ''vogliono continuare nel cammino di sviluppo del comparto, un cammino che deve portare a raggiungere un sempre piu' alto grado di qualita', professionalita' e competenze''. E' quanto afferma la Assocontact, associazione delle imprese di settore che contano 24 mila collaboratori a progetto aderente a Confindustria, in replica ad alcune prese di posizione e dichiarazioni di fonte sindacale apparsi sui media.

Asscontact inoltre afferma che ''le imprese del settore hanno sempre sostenuto l'esigenza di evitare, da parte della committenza, pericolose e assurde gare al massimo ribasso; in tal senso Assocontact ha da tempo espresso chiaramente e pubblicamente il proprio pensiero con la campagna di comunicazione ''Call Center: e' tempo di regole e impegni, nessuno si chiami fuori'' e con l'organizzazione di un apposito convegno come momento di scambio e di riflessione dal titolo ''Call Center e committenza: un patto per la crescita''.

''Le imprese del settore sono disponibili a riprendere l'esperienza dell'Osservatorio Nazionale sui Call Center istituito dal passato Governo, considerato un momento utile di scambio e di confronto tra imprese, organizzazioni sindacali e Ministero del Lavoro''.

Questi gli elementi di condivisione tra imprese e sindacati. L'associazione tuttavia ribadisce anche gli elementi ''che ci dividono dalle posizioni sindacali''. In dettaglio ''l'ultima circolare Damiano non rende obbligatoria la stabilizzazione dei collaboratori a progetto dedicati ad attivita' outbound ma ribadisce e chiarisce i principi dell'autonomia previsti dalla normativa vigente in tema di rapporti di lavoro autonomi''.

Inoltre ogni impresa, nella valutazione della forma contrattuale d'inquadramento delle risorse, e' ''libera di scegliere quella ritenuta piu' adeguata alla propria realta', assumendosene ovviamente la piena responsabilita' nei confronti della legge. Rimane comunque confermata la ferma e gia' espressamente dichiarata volonta' di Assocontact di andare avanti sul cammino delle stabilizzazioni di tutti i lavoratori del settore al fine di garantire una sana e stabile crescita del settore. Ribadiamo la nostra volonta' di confronto con le Organizzazioni Sindacali per riuscire a trovare una modalita' di stabilizzazione che coniughi le esigenze di sicurezza e stabilita' dei lavoratori con le caratteristiche di questo particolare modello di business, cercando una soluzione che tenga necessariamente conto di parametri di produttivita'''.

Assocontact sottolinea che il settore dei call center sta vivendo un momento difficile e particolarmente critico: l'attuale momento congiunturale negativo si sta riflettendo pesantemente nel nostro comparto che, per quanto riguarda le attivita' outbound, e' strettamente legato all'andamento dei consumi. A questa ragione di crisi si e' recentemente aggiunto anche un altro elemento di instabilita' e insicurezza, rappresentato dal provvedimento del Garante della privacy sull'utilizzo delle liste: Assocontact ha deciso di proporre al legislatore un provvedimento di legge che riesca almeno a garantire alle imprese la possibilita' di effettuare, nel rispetto delle esigenze di privacy dei consumatori, il ''primo contatto'' per la richiesta esplicita del consenso all'utilizzo o meno dei dati.

red/did/rf

Anonimo ha detto...

A caglari c'è la manifestazione della Cgil? sapete darmi informazioni?

Anonimo ha detto...

ANDATE A LAVORARE

Anonimo ha detto...

L'orrenda catena

Gianni Pagliarini*, 19 settembre 2008, 19:53
L'orrenda catena Il caso Venerdì scorso lo sciopero dei lavoratori dei call center, sottoposti a ritmi infernali per pochi euro all'ora, precari tra i precari, sopravvivono sperimentando sulla pelle le strategie dell'outsourcing e la frantumazione del tessuto produttivo


Lo sciopero dei lavoratori dei call center è fortemente esemplificativo del disagio vissuto in questo Paese dai lavoratori precari. Stiamo parlando di una categoria sottoposta a ritmi infernali, pagata una manciata di euro all'ora, controllata ossessivamente da superiori chiamati "tutor". Una categoria brutalmente sfruttata, scesa in piazza per dare voce al forte disagio e raccogliere le parole d'ordine dei rappresentanti sindacali di categoria. Sulla base di una piattaforma finalizzata "alla difesa della buona occupazione, contro il dumping delle imprese più scorrette", per chiedere "controlli ispettivi, per una maggiore responsabilità dei committenti e per la stabilizzazione dei lavoratori precari ancora presenti nel settore".

I centralinisti sopravvivono all'ultimo anello di una orrenda catena (appena prima degli immigrati costretti a raccogliere pomodori per dodici ore al giorno) sperimentando sulla pelle le strategie di outsourcing e la più complessiva frantumazione del tessuto produttivo. Un tessuto indebolito anno dopo anno dal capitalismo più straccione e dai suoi capitani così poco coraggiosi, felici di seguire la scorciatoia della compressione dei costi (a cominciare da quello del lavoro) nell'illusione di poter meglio stare sul mercato. Il risultato di tanta miopia è sotto gli occhi di tutti: i migliori cervelli continuano a scappare dal Paese per offrire altrove le loro conoscenze, senza che Confindustria (per quanto possa impegnarsi) abbia trovato il modo di competere al ribasso con i salari offerti in Albania o in Cina.
Se non fosse che a palazzo Chigi siede Silvio Berlusconi, si potrebbe partire da quanto di buono è stato realizzato nello scorso biennio: pensiamo ai tentativi di aggredire la precarietà, alla volontà di affermare il principio secondo cui il lavoro "normale" è quello a tempo indeterminato.

Sulle spalle del governo Prodi pesavano controriforme epocali, prima tra tutte la famigerata legge 30 del 2003 (tuttora in vigore), grazie alla quale un datore di lavoro particolarmente spregiudicato può scegliere tra 47 tipologie di inquadramento precarie. Grazie ad una "cultura" devastante, in vaste aree del mondo imprenditoriale si è affermata negli anni l'idea di poter affrontare i nuovi assetti scaturiti dall'economia globalizzata ricorrendo esclusivamente al taglio indiscriminato di salari e diritti. Mentre l'esecutivo di centrosinistra, pur con tutte le sue ambiguità, si era quantomeno posto il problema di impostare il "cambiamento". Lo aveva fatto con logiche discutibili e spesso avare di risultati, ma è indubbio che durante quell'esperienza avevano ripreso vigore le proposte della sinistra a vantaggio del mondo del lavoro.
Con il ritorno a palazzo Chigi del partito-azienda e dei suoi alleati, la destra ha immediatamente sferrato il suo attacco sul terreno sociale, con l'obiettivo di scardinare un intero sistema di conquiste e sicurezze sociali e di riscrivere parte della Costituzione. E con questa deriva i lavoratori dei call center c'entrano moltissimo.

Il primo colpo di spugna, firmato dal ministro del Lavoro Sacconi, riguarda i precari licenziati ingiustamente: il giudice non potrà più obbligare le imprese, nei casi in cui siano state accertate irregolarità, ad assumere i lavoratori precari. Finora il magistrato che riscontrava irregolarità sul ricorso a uno o più contratti a termine, poteva obbligare il datore di lavoro a riammettere in servizio il lavoratore con un contratto a tempo indeterminato. Se passerà la nuova norma, il giudice dovrà limitarsi ad applicare all'azienda una sanzione di entità variabile tra le 2,5 e le 6 mensilità (la stessa prevista per le imprese al di sotto dei 15 dipendenti). Inoltre, è stata cancellata la possibilità di stabilizzare gli stessi precari, con la reintroduzione della facoltà di rinnovare all'infinito i contratti di lavoro a tempo determinato. Facendo carta straccia di quanto previsto nel Protocollo sul welfare firmato da Prodi e dai sindacati. Un Protocollo - va ricordato a posteriori - tutt'altro che avanzato, visto che fissava in 36 mesi (addirittura non continuativi) il periodo di lavoro precario possibile presso una stessa azienda, rinnovabile di altri 36 nel caso di accordo raggiunto presso la direzione provinciale del lavoro alla presenza di un rappresentante sindacale. Alla luce dell'attuale fame di lavoro, quale sindacalista si sarebbe rifiutato di apporre la sua firma in calce alla prosecuzione di un'attività precaria?

Eppure a Berlusconi non è stato sufficiente. E non sarà certo facile, nei prossimi cinque anni, costruire un fronte che sappia agire concretamente dalla parte di chi è più debole o di chi insegue un lavoro stabile. Non sarà semplice in primo luogo perché l'opposizione parlamentare è flebile e distante, dopo che per mesi è stata propensa ad avallare un incredibile inciucio, e poi perché la sinistra è costretta a muoversi fuori dal Parlamento. Eppure i drammi e le difficoltà di chi non arriva alla fine del mese non si possono nascondere. Perciò noi faremo di tutto per riportare al centro del dibattito politico il grande tema dei diritti: e l'importante iniziativa dell'11 ottobre rappresenta l'occasione migliore per cominciare a restituire dignità e speranza ai lavoratori e a tutti coloro che rivendicano "un'altra politica".

*Ufficio politico Pdci, già Presidente della Commissione Lavoro della Camera

Anonimo ha detto...

È fantascienza immaginare doppi servizi igienici negli uffici pubblici

25 settembre 2008

Alla lettura di “Doppi servizi obbligatori giro di vite sui call center” sono rimasto allibito e stupefatto. Mi chiedo se il sindaco di Genova sia mai entrato in un locale adibito a tale esercizio. Sono spesso minuscoli spazi, dove si resta a telefonare per pochi minuti e per pochi centesimi di euro. Perché dovrei trovare lì due toilette, quando alle Poste centrali e tutte le altre agenzie di Poste italiane o a Equitalia di via D’Annunzio, locali dove si resta spesso ore in paziente attesa, non ce ne deve essere neppure una? Lo stupore viene poi grazie al redattore di tale articolo, che, parla di piccole folle tra mezzanotte e l’alba che disturbano la quiete degli abitanti. Io abito in centro storico, in una zona piena di stranieri, i call center chiudono al massimo alle 23 e purtroppo per tali “piccoli” lavoratori non c’è nessuna piccola folla. Mi dica per favore in che zona della città sono questi call center aperti fino all’alba.

Marco Avogadro

Mi dispiace, ma non ho né il tempo né il fisico per aggirarmi tutta la notte per le vie cittadine a cercare call center aperti 24 ore su 24; del resto ho la fortuna di non dover comunicare con altri continenti connessi con esotici fusi orari. Posso solo dire che il paio di piccoli call center attorno a casa mia chiudono prima che io torni dal cinema, e vado allo spettacolo delle 20,30. Per quanto riguarda la disponibilità di servizi igienici nei pubblici esercizi e nei pubblici uffici, inviterei i coraggiosi e inflessibili controllori a considerare se un utente di un ufficio postale, o di un’agenzia bancaria, o di uno sportello per l’espletamento di qualsivoglia pratica abbia diritto o meno di utilizzare un bagno avendone bisogno, e se questo diritto è nei fatti riconosciuto o no. Raramente mi è capitato di poter espletare tale diritto. Per quanto riguarda i pubblici esercizi, bar o ristoranti, di rado mi è capitato di imbattermi in servizi igienici decenti, quasi mai doppi. Ma imporre a un bar norme igieniche certe è considerata pura e semplice vessazione, imporlo a un pubblico servizio, come a un ufficio postale, più o meno fantascienza. Magari in quell’ufficio i servizi ci sono, e doppi, ma sulla porta c’è scritto “incesso vietato”.

Anonimo ha detto...

Vi ricordate delle ragazzediradiocall?

visitate

http://annaeantodiradiocall.spaces.live.com/

la loro chiave di accesso alla soluzione sono i COBAS CODIR...
e non i GROSSI GRASSI sindacati...
MEDITATE GENTE, MEDITATE!!!