venerdì 17 ottobre 2008

Io cavia nel call center, cronaca di una vita precaria

di Sandro De Riccardis
da La Repubblica 17 ottobre 2008

Cronista assunto per una settimana come operatore per 4 euro l'ora. Nessuna certezza per il futuro. Il capo lo incita: le tue cuffie sono un fucile, colpisci! Sono l'operatore 172. Ho risposto a un annuncio su Internet spedendo via e-mail il mio curriculum, e dopo il colloquio sono qui, con le cuffie in testa e il microfono che mi sfiora le labbra, a proporre a decine di titolari di partite Iva di lasciare Telecom e passare a Infostrada. Ho lavorato una settimana alla Mastercom, azienda di telemarketing e teleselling nella zona industriale di Assago, hinterland di Milano, un cubo di vetri a specchio e cemento a pochi passi dalla tangenziale Ovest, costola di un gruppo in espansione con nuove sedi a Roma e Benevento.

Dopo la selezione, ho trascorso giorni in azienda senza aver firmato nessun contratto. Ho visto i 1200 euro lordi assicurati dai selezionatori, al colloquio e nei primi due giorni di formazione, diventare 800 al mese lordi (appena 640 netti), mentre le provvigioni promesse si sono ridotte in ventiquattr'ore della metà. Ho conosciuto universitari che non ce la fanno a pagarsi gli studi, ragazzine appena diplomate reduci da altri call center, segretarie trentenni licenziate e sostituite da giovani con contratto da apprendista, laureati con titoli improvvisamente inutili. Tutti senza altra chance che essere qui.

Mi pagano 4 euro netti l'ora. Contratto di collaborazione occasionale per trenta giorni, poi a progetto. Otto ore al giorno - 4 e mezzo il part time - di fronte a un monitor che passa in automatico i dati degli abbonati Telecom da contattare. Promettono un mensile di 1200 euro e provvigioni di 20 (contratto Voce) e 25 euro (contratto con Adsl) per ogni nuovo cliente rubato alla concorrenza.

"Qualcuno qui guadagna più di me - spiega Massimo, il selezionatore, al colloquio -. La media dei contratti di ogni operatore è di 3,9 al giorno". Nessuno però spiega il trucco contabile: il calcolo dell'azienda è su 30 giorni lavorativi perché alla Mastercom si lavora dal lunedì al venerdì. Così trenta giorni, il loro "mensile", corrispondono a sei settimane. Un mese e mezzo. E i 1200 euro promessi diventano nella realtà 800 euro al mese. Lordi. Appena 640 netti. Pagati a 60 giorni. Una cifra che nessuno pronuncia mai, un equivoco che gli altri 16 ragazzi che entrano con me in azienda capiranno molto tardi.
Alla Mastercom il turnover di operatori è continuo: ogni lunedì entrano tra i dieci e i venti nuovi lavoratori, altrettanti abbandonano. Con me ci sono quattro ragazzi e 12 ragazze. Dai 19 anni di Antonella e Giovanna, appena uscite dalle superiori, ai 38 di Carla e agli "oltre 40" di Alessandra, che s'imbarazza a rivelare l'età e a dire che sta provando a riprendere a lavorare dopo nove anni, dopo un divorzio. Ci sono anche 4 stranieri: Frida che viene dal Ghana e Salomon dal Camerun, Betsy dall'Ecuador e Lidia dal Venezuela. Tutti ventenni, seconda generazione di famiglie arrivate in Italia quando loro erano bambini. Sono i nuovi italiani: scuole a Milano, ottimo italiano, ambizioni di un futuro diverso da quello dei genitori.

Molti arrivano dai call center di Monza, Cesano Boscone, Milano città, "dove si lavora 24 ore su 24, dal lunedì alla domenica, come robot". O da centri commerciali, ristoranti, locali nel cuore della movida milanese dove "una notte di lavoro, dalle 19 all'alba viene pagata 50 euro in nero a fine serata".

I primi due giorni di formazione - non retribuiti, anche se è a tutti gli effetti attività lavorativa che dev'essere pagata dal datore di lavoro - sono una full immersion di marketing e psicologia della vendita. Con qualche trucchetto per produrre di più. Uno riguarda il modem per Internet. "Si può noleggiare o acquistare - spiega chi ci istruisce - . Al telefono col cliente, abbassate la voce come se state rivelando un segreto poi sussurrate: "Guardi, glielo dico senza farmi sentire sennò mi licenziano. Lo compri, costa solo 17 euro, le conviene piuttosto che pagare 3 euro ogni mese. In realtà lo state fregando. Presto si romperà, e l'azienda non ha nessuna voglia di fare manutenzione".

Le ore passano tra simulazioni di telefonate, studio delle obiezioni che riceveremo, illustrazione dei contratti da proporre. "Dovete essere lo specchio dell'altro. Capire i desideri dell'acquirente, agire sulla parte emotiva - ci dicono - . Fare come scrive Pirandello. Cambiare ogni volta maschera. Se ci pensate, noi vendiamo sempre qualcosa: le idee, la nostra immagine, le nostre scelte".

Fino al mercoledì, terzo giorno di lavoro, nessuno vede un contratto. Così nel cortile nascono complicati dibattiti sullo stipendio, con i telefonini che si trasformano in calcolatrici. L'atrio all'ingresso è l'unico spazio all'aperto. È qui che si fa pausa per caffè e sigarette. Qualcuno dell'azienda ci vede e ci rassicura, almeno sulle provvigioni: "20 euro per contratto voce, 25 Adsl". Poi si passa in sala training e da mezzogiorno iniziamo a fare le prime telefonate. "Ricordate Full metal jacket? - dice Alex, il nostro team leader - Il soldato diceva "Il mio fucile è il mio migliore amico, è la mia vita. Senza il mio fucile io sono niente". Il nostro fucile sono le cuffie. Con loro dobbiamo saper colpire il bersaglio".

Con il nostro fucile, siamo operativi davanti ai pc senza aver firmato nulla. Come se paga, provvigioni e condizioni contrattuali fossero una variabile indipendente dal nostro lavoro. Ma ecco, due minuti prima della pausa pranzo, quando non vogliamo far altro che scappare a mangiare, arrivano i moduli per la firma. "È il contratto standard dei collaboratori occasionali" spiegano a chi si dilunga a leggere. Molti capiscono solo ora che i 1200 euro di stipendio coprono sei settimane di lavoro e non un mese. E che non è detto che le nostre provvigioni saranno di 20 e 25 euro: la terza pagina da firmare è un elenco indistinto di gettoni da 5 a 25 euro.

Per tutto il pomeriggio di mercoledì, le nostre telefonate raggiungono il segmento di clienti Telecom ULL (Unbundling local loop), quelli che sono rimasti sempre fedeli all'ex monopolista e a cui si propone il distacco totale dalla vecchia Sip. Poi, all'improvviso, giovedì, il nostro team leader blocca tutto. "Siete un gruppo molto affiatato, l'azienda vuole scommettere su di voi. Da ora chiamerete un'altra categoria di clienti".

Soddisfatto dei complimenti, tutto il gruppo - tranne tre che restano sui vecchi contratti - inizia a chiamare i "silenti", i clienti che ai tempi delle prime liberalizzazioni sono passati a Infostrada pur dovendo pagare doppio canone, e che per questo sono rimasti a Telecom. "Si tratta di convincerli a tornare", ci dicono. Partiamo con le telefonate ai Wrl (clienti fuori copertura). Per scoprire, soltanto il giorno dopo, che per questi contratti le provvigioni non sono di 18 e 25 euro ma 8 e 12 euro. Meno della metà. Nessuno ce lo dice. "Per ora è cosi" rispondono quando chiediamo spiegazioni. Ma nessuno ribatte.

E nessuno reagisce alle proteste delle persone a casa, alle offese e alle minacce di denuncia. Ci hanno insegnato che dobbiamo essere più forti delle difficoltà. Mi metto in contatto con un clic con ogni partita Iva che appare sul monitor. Da Bolzano a Siracusa, chiamo tappezzieri e pizzerie, parrucchieri e macellai, studi di architetti e avvocati, profumerie e scuole guida, imprese edili e meccanici.

"Oggi è la 14esima volta che ci chiama qualcuno" rispondono all'Oasi del capello di Broni, provincia di Pavia. "Siete ossessivi" dicono da un negozio di giocattoli di Potenza. "Bombardate dalla mattina alla sera" si sfoga un medico calabrese. Perché quando qualcuno non accetta la proposta, l'ordine non è di escluderlo dal database, ma di rimetterlo in circolo per essere richiamato tra poche ore o tra una settimana, a secondo della violenza della sua protesta. Il contrario di quanto stabilisce il Garante della privacy che dal dicembre 2006 obbliga i call center a "rispettare la volontà degli utenti di non essere più disturbati".

I miei colleghi che misurano ogni euro del loro lavoro, si accorgono così che non è tanto facile acquisire clienti. Anche se per giorni ci hanno ripetuto il numeretto magico di 3,9 contratti stipulati ogni giorno da ogni operatore. Tra mercoledì e venerdì facciamo tre contratti. Lunedì, ultimo giorno di lavoro, un paio. In fondo alla sala, sulla lavagna c'è il nome di ognuno di noi: in rosso c'è l'obiettivo che si è dato prima di partire, accanto uno smile per ogni contratto realizzato.

In queste sale non c'è il rito motivazionale che si vede in Tutta la vita davanti, il film di Paolo Virzì sul mondo dei call center, ma a ogni contratto concluso dai nuovi, c'è in sala training l'applauso dei colleghi. E così avviene nella sala grande se qualcuno raggiunge il numero di contratti per ottenere il bonus in busta paga. Un concetto ce l'hanno spiegato subito: serviamo solo se vendiamo. Perché la somma dei nostri contratti fa il risultato del team leader, i loro risultati sono il target della Mastercom col committente, Wind-Infostrada.

"Ma se l'azienda fissa gli obiettivi, mette a disposizione le sue strumentazioni e gestisce turni e assenze, si configura una posizione da lavoratore dipendente", spiega Davide Ferrario, del Nidil, il sindacato dei precari della Cgil. Dopo una settimana, il mio gruppo non esiste più. Eravamo in 17 il primo giorno, siamo rimasti in 5. L'ultimo contratto che vedo è di Luca, rimasto in sala training una settimana in più, mentre quelli arrivati con lui sono già nella sala grande. È stato 15 giorni in attesa di questo momento: contratto Adsl a una romena di 18 anni. A fine giornata, tira fuori il telefonino e immortala l'evento. Fa una foto alla lavagna col suo nome accanto al disegno di un visino sorridente.

7 commenti:

Precari in Linea ha detto...

Call center, la carica dei duemila precari
Sono oltre duemila a Milano e altrettanti nel resto della Lombardia i precari dei call center. Con il rischio continuo di essere esclusi dall'azienda in caso di maternità o malattia
Lavoratori in un call center
Lavoratori in un call center

Sono oltre duemila a Milano e altrettanti nel resto della Lombardia i precari dei call center. Cinquemila lavoratori che si trovano senza garanzie, in balìa di contratti poco chiari e compensi spesso ambigui, legati a provvigioni sulle vendite che cambiano in continuazione. L'anno scorso la stabilizzazione di una fetta di operatori dei call center inbound (quelli dei servizi di assistenza che ricevono le telefonate dai clienti) ha portato in tutta Italia alla trasformazione di circa 20mila contratti a progetto a contratti di lavoro dipendente. Ma ora ci sono ancora 30mila addetti a livello nazionale e cinquemila in Lombardia che non hanno gli stessi riconoscimenti contrattuali.


Sono soprattutto gli operatori dei call center outbound, che fanno telemarketing o teleselling, e nei quali è l'operatore a contattare un potenziale cliente, sia esso una famiglia, un professionista o un'azienda. Per questi lavoratori, che arrivano a trascorrere fino a otto ore davanti al monitor, le garanzie sul posto di lavoro sono minime. Usano le strumentazioni aziendali, chiamano numeri forniti dall'azienda, devono rispettare orari di lavoro e turni, giustificare le assenze, raggiungere gli obiettivi stabiliti dai team leader, eppure non hanno un contratto di lavoro subordinato ma solo contratti a prestazione occasionale o a progetto. Vuol dire che avranno compensi più bassi, contributi pensionistici inferiori agli assunti, ferie non retribuite. Con il rischio continuo di essere esclusi dall'azienda in caso di maternità o malattia.
(17 ottobre 2008)

Precari in Linea ha detto...

(AGI)
Palermo, 1 ott. - I 1.600 lavoratori di Alicos, il call center di Alitalia che ha sede a Palermo, hanno proclamato oggi lo stato di agitazione nel corso di un'assemblea convocata dai sindacati confederali per valutare le prospettive della struttura dopo i nuovi assetti della compagnia aerea. Non si escludono anche in iniziative di sciopero. "La sede del call center della nuova Alitalia dovra' restare a Palermo. La Sicilia non puo' certo permettersi infatti di perdere 1.600 posti di lavoro e su questo il sindacato e' pronto a dare battaglia. Chiediamo che la Compagnia area italiana chiarisca quanto prima e confermi il rapporto con Alicos", ha detto Italo Tripi, segretario generale della Cgil siciliana, intervenuto all'assemblea. Sindacati e lavoratori, ha aggiunto Tripi, "chiedono alla Regione di intestarsi l'apertura di un tavolo di trattative per sciogliere il nodo dell'incertezza che grava sul call center, che essendo al di fuori del perimetro aziendale non e' stato incluso nel negoziato che ha portato agli ultimi accordi. Nelle passate settimane abbiamo gia' sollevato il problema cercando di non creare intereferenze con la delicata vertenza aperta. Ora -ha concluso Tripi- e' arrivato il momento di aprire il capitolo Alicos".

Precari in Linea ha detto...

www.abruzzo24ore.tv

Crisi alla Transcom: dopo la flessibilità i licenziamenti

Scrive Piero Peretti dell'Ugl: "Come molti ricorderanno un anno fa la Transcom cambiò il Contratto Nazionale ai propri dipendenti: si passò da quello del Commercio a quello delle Telecomunicazioni. Questa operazione comportò un grande risparmio per Transcom ed un altrettanto grave danno economico per i dipendenti. L'Ugl non firmò, a differenza degli altri sindacati, questo scandaloso provvedimento poiché il Piano Industriale aziendale presentato nel 2007 prevedeva esplicitamente, a prescindere dal cambio del Contratto Nazionale, un drastico ridimensionamento del call-center aquilano a vantaggio di quello di Bari. In sostanza si chiedeva un sacrificio ai lavoratori a fronte….del nulla!!!

Da qualche settimana Transcom, a causa di un vistoso calo delle commesse, costringe gli operatori aquilani a prendere a turno le ferie forzate. Questa mattina il provvedimento ha assunto dimensioni notevoli: centinaia di lavoratori sono stati "mandati a casa" perché non c'era lavoro da svolgere. Benché l'Ugl avesse chiesto, in data 09 Ottobre, un incontro con l'azienda, a tutt'oggi, nessuna comunicazione ci è stata fatta. Evidentemente il management di Transcom, dopo aver svuotato le tasche dei lavoratori col cambio di contratto, sta portando avanti il Piano Industriale che non lascia speranze per il call-center aquilano.

Ci chiediamo cosa ne pensano Cgil Cisl e Uil di ciò, dopo che, di fatto, hanno avallato questa situazione sottoscrivendo supinamente il cambio di contratto pur sapendo che il Piano Industriale sarebbe ugualmente andato avanti.

Il Segretario Nazionale della UGL-Telecomunicazioni Gianni Fortunato, informato della grave crisi in atto, incontrerà i quadri sindacali di Transcom per fare il punto della situazione Mercoledì 15 Ottobre presso la sede della UGL dell'Aquila.

Anonimo ha detto...

Lavoro precario, è bufera sul call center
Dopo l'inchiesta del giornalista che ha lavorato per una settimana in un call center di Assago, dove gli operatori vengono pagati quattro euro all'ora, si muove l'Ispettorato del lavoro
di Sandro De Riccardis
Lavoratori in un call center
Lavoratori in un call center
Partono i controlli e le ispezioni alla sede della Mastercom, il call center di Assago al centro dell´inchiesta pubblicata su Repubblica, che ha raccontato le condizioni di lavoro degli operatori telefonici, impiegati con contratti a collaborazione occasionale e a progetto per appena 4 euro netti l´ora.
Ora gli ispettori della Direzione provinciale del lavoro e l´Autorità garante delle privacy vogliono verificare - ognuno per gli aspetti di propria competenza - il rispetto della legge.

E' partita da Roma la richiesta di documentazione da parte del Garante che vuole accertare come vengono utilizzati i dati dei soggetti contattati. E se viene rispettato il principio in base al quale chi chiede di non essere disturbato dopo la prima telefonata deve essere effettivamente eliminato dai database. «Abbiamo aperto un´istruttoria - annuncia il garante Francesco Pizzetti - chi viola la nostra direttiva rischia una denuncia penale per violazione del provvedimento dell´autorità. Quello che emerge dal racconto è che non ci sarebbe un´adeguata registrazione della volontà di chi vuol essere cancellato. Sarebbe una violazione molto grave. Come cittadino non può non colpire il racconto di una realtà che assomiglia a quella del film Tutta la vita davanti. Ci muoveremo nel più breve tempo possibile. Non siamo disposti a trascurare la denuncia».

Anche la Direzione regionale del lavoro vuole verificare la regolarità dei contratti rispetto alle mansioni svolte in azienda da parte dei telefonisti. «Ci sono gli indizi di un rapporto subordinato nascosto dietro il contratto a progetto - riflette Paolo Weber, direttore dell´Ispettorato - . Ora ascolteremo i lavoratori della Mastercom, e se troveremo delle irregolarità procederemo alla regolarizzazione delle posizioni, al recupero dei contributi pensionistici e alle sanzioni». Lunedì l´azienda di Assago riceverà anche la richiesta d´incontro del Nidil e del Slc (Sindacato lavoratori telecomunicazioni), i due rami della Cgil competenti sui call center. «Chiederemo spiegazioni di quanto letto su Repubblica e faremo richiesta di assemblea per parlare con i lavoratori - spiega Davide Ferrario, della segreteria del Nidil - L´obiettivo è intraprendere la regolarizzazione delle posizioni di lavoro, con tutta la gradualità necessaria».

In città sono ancora molte le aziende del settore che non hanno aderito alla direttiva Damiano del marzo 2007, che prevedeva la trasformazione dei contratti a progetto in contratti subordinati. Creando malumore proprio tra le aziende che alla direttiva hanno aderito e devono confrontarsi con chi continua a pagare salari bassissimi e a non regolarizzare la manodopera. «L´auspicio è che non accada più che per colpa di alcuni tutto il comparto soffra di questa immagine negativa - dichiara Paolo Sarzana, direttore marketing di Teleperformance, una delle più grandi società di telemarketing, tra le prime ad aderire alla direttiva Damiano - . Si tratta di concorrenza sleale. Noi abbiamo un costo del lavoro di 20 euro all´ora, mentre per altre aziende è di 13. E i committenti a volte non scelgono noi».
(18 ottobre 2008)

Anonimo ha detto...

Università, nuove proteste.

Arrivano gli Stati generali
Nel corteo anche scritte, lanci di uova e bottiglie.

Occupato fino a notte il cortile di Scienze politiche, blitz dei precari in piazza Affari

di Laura Bellomi

«Bloccheremo il decreto Gelmini, la rivolta è appena cominciata». Con questo slogan i collettivi della Statale si preparano agli "Stati generali d´ateneo" di martedì prossimo. «Un´assemblea in cui studenti, lavoratori e docenti si uniranno per fermare la riforma e lo spezzatino universitario che ha in mente il ministro», fa sapere Luca Minghinelli, studente di Scienze politiche. In un crescendo di mobilitazioni, monta la protesta degli studenti universitari. Per martedì 28 è indetta alla Bicocca l´assemblea unitaria, mentre oggi pomeriggio dalle 15 in avanti docenti e genitori di Rete Scuole si troveranno nei parchi Trotter, Alessandrini e Monte Stella per un pomeriggio in difesa della scuola pubblica: «Vogliamo chiarezza sul tempo pieno e sulle strategie per l´integrazione dei bambini stranieri», spiega Stefania Giacalone, docente delle elementari a Quarto Oggiaro.

Ieri mattina, il "No Gelmini Day" è cominciato presto con picchetti davanti a scuole e università. In via Conservatorio è stato occupato il cortile della facoltà di Scienze politiche, mentre il corteo di insegnanti e studenti - 50mila secondo gli organizzatori, 10mila per la Questura - , da largo Cairoli si è diretto al Provveditorato di via Ripamonti. Alla Statale si sono tenute soltanto le discussioni di laurea, le aule sono rimaste chiuse, così come gli sportelli della segreteria di via Santa Sofia: «Su cinquecento dipendenti, in sede centrale sono entrati al massimo in quindici», dice Davide Lo Prinzi, rappresentante dei lavoratori.
Un fiume di manifestanti e striscioni, da "La loro università: baroni, affari, precarietà" a "Il futuro è di chi lo ricerca", dietro cui marciavano dottorandi e ricercatori. Slogan contro la Gelmini e i tagli sono comparsi un po´ su tutti i muri, Arcivescovado compreso. E non sono mancati anche momenti di tensione, con lanci di uova verso il Provveditorato da parte degli studenti delle superiori e bottiglie di vernice in volo contro la sede di Assolombarda per mano degli universitari. Mentre genitori e insegnanti cantavano e saltavano davanti al Provveditorato, gli studenti di Scienze politiche si sono riunirsi in assemblea per organizzare la "notte bianca dell´università contro i tagli", musica fino all´alba nel cortile dell´università.


Decisi a farsi largo verso il Provveditorato, gli studenti medi sono invece stati bloccati da transenne e forze dell´ordine che hanno impedito l´arrembaggio. Il provveditore Antonio Lupacchino ha infine accettato di parlare con una delegazione di insegnati e genitori: «Lo abbiamo invitato a intervenire a favore della scuola pubblica esortando i dirigenti dei singoli istituti a non ostacolare le iniziative di protesta», spiega Maria Cristina Mecenero, insegnante delle elementari. Dal canto suo il provveditore ha fatto sapere che inoltrerà il verbale dell´incontro al ministero. In una mattina di contestazione, i sindacati di base e le associazioni dei lavoratori precari hanno invece occupato simbolicamente la Borsa, "Cattedrale di Ognisoldi". Con un blitz in piazza Affari, da una finestra del primo piano a mezzogiorno è stato steso uno striscione che ricordando Lutero elencava le "95 tesi sulla precarietà". Presidii volanti sono stati organizzati davanti alle sedi di diversi call - center.
(18 ottobre 2008)

Rifondazione Libera ha detto...

da AprileOnline

Quando lo sciopero era un diritto

Frida Roy, 17 ottobre 2008, 17:25
Quando lo sciopero era un diritto Al Cdm il ministro Sacconi presenta le linee guida di un disegno di legge delega che dovrà essere approvato entro un anno e che di fatto restringe la libertà e la possibilità per i lavoratori di astenersi dall'occupazione per protesta. La scusa è quella di garantire soprattutto il settore pubblico e la sua utenza, ma per la Cgil è un piano "dai tratti illiberali"


Mentre sfilavano per le strade italiane i lavoratori chiamati a raccolta dai sindacati di base, e a pochi giorni dall'astensione indetta dai confederali per il settore della scuola e della pubblica amministrazione, andava in scena a Palazzo Chigi il Consiglio dei ministri. Protagonista dell'evento il ministro del Welfare (si chiama ancora così, per ora non l'hanno abolito, almeno formalmente) e il suo disegno di legge-delega sullo sciopero, da attuare entro l'anno e dopo confronto con le parti sociali (anche questo ancora formalmente esistente).

Sacconi ha di fatto presentato e fatto esaminare alla squadra di governo quanto già anticipato pochi giorni fa sul tema della regolamentazione e prevenzione dei conflitti collettivi di lavoro. Un piano di contro-riforma di quel diritto storico che è l'astensione dall'occupazione, ma che l'ex socialista e cgiellino giustifica poco credibilmente come il progetto di "dare attuazione all'articolo 40 della Costituzione" con l'intento di realizzare, in tutti i settori produttivi e con particolare riferimento ai servizi pubblici essenziali, "un migliore e più effettivo contemperamento tra esercizio del diritto di sciopero e salvaguardia dei diritti della persona e della impresa costituzionalmente tutelati". Come farlo è semplice: azzerando la libertà dei lavoratori di poter scioperare, burocratizzando e controllando al massimo non solo la fase di preparazione della protesta, ma anche il dopo.

Lui la chiama "protezione delle imprese da danni irreversibili" ma anche "tutela delle persone", per il sindacato la lettura è diversa, come ricorda una nota della più rappresentativa delle confederazioni. "Lo sciopero è un diritto incoercibile", fa sapere la Cgil puntando l'indice contro le linee guida presentate oggi in Cdm, le quali "confermano i tratti illiberali che avevamo già denunciato nei giorni scorsi", il segnale che si sta agendo a favore di "norme che attaccano i diritti dei lavoratori e della loro rappresentanza", sbagliate "nel metodo, nel merito e sotto il profilo costituzionale".

Per Corso Italia, dunque, il complesso delle misure annunciate dall'esecutivo per voce di Sacconi non sono altro che espressione di un solo obiettivo governativo: introdurre "ulteriori e immotivate restrizioni al diritto di sciopero e alla libertà sindacale", senza motivo visto che "le regole attuali offrono già all'utenza una protezione che non ha eguali negli altri Paesi europei".

Inoltre secondo il sindacato guidato da Epifani, la materia, regolata anche dalla Costituzione, non può essere delegata incondizionatamente al legislatore, perché ciò "porterebbe
nei fatti a cancellare il valore costituzionale del diritto di sciopero". Per questo, accusa il sindacato, la scelta del governo di intervenire con una legge delega "è di incerta legittimità costituzionale". Spiegano infatti da Corso Italia che questo storico diritto è materia coperta da riserva di legge, mentre lo strumento legislativo deciso dall'esecutivo per attuare una riforma "contiene solo indicazioni di principio e criteri direttivi".

All'obiezione di metodo, si affianca la critica anche sul merito. La consultazione referendaria preventiva e l'adesione preventiva del singolo lavoratore alla protesta, l'allungamento dei tempi di
intervallo tra le astensioni, l'introduzione dello sciopero virtuale per legge, l'attribuzione ai Prefetti del potere di esecuzione delle sanzioni deliberate dalla Commissione (che ora spettano ai datori di lavoro), l'attribuzione alla Commissione di
poteri di conciliazione e arbitrato (cambiandone così la natura da organo di garanzia a ruolo di parte), le proposte sulla revoca dello sciopero (già oggi esistente e fissate ad un preavviso minimo di 5 giorni) sono bocciate senza appello dal sindacato.

Anonimo ha detto...

avete letto ieri sui giornali?
Tiscali taglia posti di lavoro!!