domenica 20 aprile 2008

Cassazione: assunzione d'obbligo per i precari dei call center

Cassazione: assunzione d'obbligo per i precari dei call center

i lavoratori dei call center che prestano servizio nella struttura di una società hanno diritto ad un contratto di lavoro subordinato dal momento che utilizzano attrezzature e materiale aziendale e non possono essere considerati, dal datore, come lavoratori autonomi. Lo sottolinea la Cassazione con la sentenza 9812 della sezione lavoro.

Con questo verdetto la Suprema Corte ha respinto il ricorso della Solidea sas, una società di Padova che aveva un call center nel settore pubblicitario, contro la decisione con la quale la Corte di appello di Venezia, nel 2005, l'aveva condannata a pagare oltre mezzo miliardo di vecchie lire all'Inps come contributi previdenziali evasi ai danni di 15 centraliniste precarie scoperte a lavorare presso la società durante un controllo degli ispettori del lavoro, avvenuto nel 1997.Contro la multa, la Solidea aveva fatto ricorso al Tribunale di Padova sostenendo che le dipendenti svolgevano lavoro autonomo. Il tribunale diede ragione alla 'Solideà e straccio il verbale dell'Inps. Ma in appello la Corte di Venezia ribaltò l'esito e confermò la natura subordinata del lavoro svolto dalle 15 centraliniste. Senza successo la Solidea ha protestato in Cassazione.

La Suprema Corte ha replicato che «correttamente» la Corte d'Appello ha considerato «qualificanti della subordinazione delle dipendenti, con mansioni di telefoniste, le circostanze che esse seguivano le direttive impartite dall'azienda in relazione ad ogni telefonata da svolgere prendendo nota dell'esito e del numero di telefono chiamato, del fatto che avevano un preciso orario di lavoro, che usavano attrezzature e materiale di proprietà della società ». Così il ricorso della Solidea è stato respinto.

approffondimenti:

La Repubblica
Businessonline.it
Circolare Ministeriale Damiano

Sentenza Corte di Cassazione


20 commenti:

Anonimo ha detto...

non serve a una mazza sto verdetto!
tutte cazzate, fate le leggi non le sentenze minkioni!!

Anonimo ha detto...

uhm...la sentenza è un atto esecutivo...quindi...

Anonimo ha detto...

tira l'acqua nenno!

Anonimo ha detto...

ogni tanto la testa non solo per pettinarsi!
Non è un "verdetto" ma una sentenza che crea giurisprudenza e quindi rende fondato ogni possibile ricorso di chi ritiene di vantare un proprio diritto.
Da queste sentenze nasce una "cultura" dell'istituto giuridico e dà forza sia per altre cause e contenziosi del lavoro sia per aggiornare e migliorare le condizioni dei lavoratori tramite, anche, la legislazione.Ma in materia di lavoro non puoi risolvere le assunzioni ed altro con le sole leggi, serve la forza di chi, essendo portatore di interessi individuali e collettivi, riesce a convincere e vincere l'opposizione degli imprenditori.
A forza di sputare su tutto, si sputa anche sui nostri diritti. Sono giovane e inesperto, accetto tutto e amo scherzare ma la cogl....sui miei diritti, bhe questa no!
Andrea Sanna ex call centerista per Telecom

Anonimo ha detto...

Bravo Andrea...evidentemente chi ha consigliato a Nenno di tirare l'acqua è poco informato delle pratiche giurisdizionali e di legge...informazione ragazzi. paola

Anonimo ha detto...

nenni le commesse sono a progetto x gli imprenditori, aggiornarsi prego!!

Anonimo ha detto...

Grande Milan!!!
Grande Cagliari!!!

Anonimo ha detto...

Grande Milan!!!
Grande Cagliari!!!

Anonimo ha detto...

Musica deprimente sto blog!!
aiuto!!!!!!

Anonimo ha detto...

Radio Vaticana
La voce del Papa e della chiesa
in Dialogo con il Mondo

10/05/2008 15.28.24


La denuncia dell'arcivescovo di Perugia contro i call center italiani



L’arcivescovo di Perugia Giuseppe Chiaretti in un recente intervento ha preso posizione contro i call center che – ha affermato – “organizzano campagne promozionali avvalendosi anche di un precariato senza regole”. Il fenomeno, emerso da tempo a livello nazionale, è stato confermato da un’indagine sindacale che valutava il volume d’affari dei call center in almeno 4 milioni di euro nel 2004.

Il presule ha sottolineato lo sfruttamento dei lavoratori di queste strutture. Si tratta spesso di giovani o donne senza altre possibilità di lavoro, impegnati nella vendita di servizi “truffaldini” come i codici 899 basati anche sulle debolezze dei fruitori.

In particolare – ha osservato mons. Chiaretti – “attraverso la cartomanzia, la magia ed altro, molti call center sfruttano la disperazione, la malattia, la solitudine di tante persone che telefonano per consigli sulla propria vita e, venendo trattenute molto, devono pagare telefonate dai costi altissimi”.

Sulla riflessione dell’arcivescovo è intervenuto Francesco Ferroni della segreteria UST-CISL di Perugia che ha puntato il dito contro la “mancanza di una adeguata legge in materia” invocando provvedimenti che dividano la parte “truffaldina del mondo dei call center” dalle attività lavorative legali. (E. B.)

Anonimo ha detto...

ma che si coddi!!

Anonimo ha detto...

se Vaticano e il Papa stanno con i lavoratori e le lavoratrici dei call center, allora majcol jackson è una bebysitter

Anonimo ha detto...

Io sto con questo anonimo che mi precede.
Perchè uno che scrive "majcol jackson" in questo modo,non può essere dalla parte del torto.
Quindi,uniamoci tutti,vestiamoci a festa da allegre "bebysitter",e bruciamo radiovaticana con dentro il Papa.
Perchè io rimpiango tanto l'uovofrullato che faceva il buon vecchio Karol!

Anonimo ha detto...

dall'espresso

Dopo Pisa, il tribunale di Firenze fa assumere un altro precario
La Cgil: centinaia gli irregolari
"Call center, ragazzi fate causa"
Simona Poli

"Molti giovani non denunciano perché hanno paura di perdere il posto"

Si facciano coraggio i precari storici dei call center. I giudici stanno lavorando per loro. Dopo la sentenza di Pisa del mese scorso, adesso anche il tribunale di Firenze dà ragione a un lavoratore che aveva fatto causa all´azienda da cui era stato allontanato e costringe il titolare ad assumerlo a tempo indeterminato. A rivelare l´episodio è la Cgil per bocca di Samuele Falossi, responsabile del settore telecomunicazioni. «La sentenza risale ad aprile», racconta, «e riguarda un precario che aveva un rapporto di collaborazione a progetto, il cosiddetto co.pro.co E´ stato mandato via senza tanti complimenti e ha deciso di ricorrere al magistrato. Siccome lavorava in out-bound (faceva chiamate in uscita è stata mandata via e ha fatto causa contratto a progetto e lavorava in out bound (chiamate in uscita, ossia il contrario dell´in-bound) in base alla circolare del ministro Damiano del 2006 avrebbe dovuto svolgere il suo compito solo a certe condizioni che il giudice non ha riscontrato. Ecco perché», aggiunge Falossi, «l´azienda non solo è stata costretta ad assumerlo ma ha anche dovuto pagare gli arretrati, cioè il differenziale salariale. Per il tipo di mansione svolta quel lavoratore co.pro.co avrebbe dovuto essere un libero professionista e invece il suo era in tutto e per tutto un rapporto di lavoro subordinato».
La sentenza di Firenze rappresenta un importante precedente a cui potranno fare riferimento tutti i precari dei call center che aspirano a un contratto vero. «Ormai dopo gli ispettori del lavoro anche la giurisprudenza condivide le nostre ragioni», dice Falossi, «e per il sindacato queste sentenze sono il riconoscimento di anni di lavoro e di impegno. Anche se i problemi non sono certo finiti». La difficoltà maggiore, racconta la Cgil, è proprio quella di convincere chi è sfruttato a rivendicare i suoi diritti uscendo allo scoperto. «Moltissimi ragazzi hanno paura di perdere il "posto" e lo stipendio, benché misero. A Firenze ci sono almeno 30 call center in cui sono impiegati tra i 400 e i 500 lavoratori. Tra questi solo uno ha assunto regolarmente i suoi 50 dipendenti, mentre in un altro abbiamo raggiunto un accordo per farne entrare undici. Tutti gli altri sono precari e hanno paura a denunciare pubblicamente la loro situazione». La realtà è ancora più complessa e articolata di come la descrive il bel film di Virzì "Tutta la vita davanti". «Quel film descrive un mega call center», spiega Falossi, «mentre noi abbiamo a che fare con piccoli posti, magari di 4 o 5 dipendenti. Siamo al livello più basso della catena produttiva, dove non si fa formazione e si ignorano i diritti. Quel tipo di lavoro è giudicato brutto e spersonalizzante quando in realtà è molto difficile perché si basa sulla capacità di creare un contatto umano con il cliente. Il sindacato, comunque, ha ottenuto che i vari committenti - Wind, Infostrada, Telecom, Fatsweb - aumentassero le commesse, che nell´ultimo anno sono cresciute del 16 per cento. Con riflessi positivi sui lavoratori».

Anonimo ha detto...

19\05\2008 Felice Dileo, operaio della Natuzzi si incatena ai cancelli della Cgil Puglia e dichiara lo sciopero della fame

PUBBLICHIAMO COMUNICATO RETE 28 APRILE

Questa mattina, come annunciato, il compagno Felice Di Leo, rappresentante della Rete28Aprile-Cgil della Natuzzi, ha dato corso alla sua protesta sotto la Cgil Puglia, finalizzata ad ottenere l’avvio delle elezioni per una Rsu veramente democratica e rappresentativa di tutti i lavoratori dello stabilimento Natuzzi Jesce di Santeramo, azienda che, a soli due mesi dallo scadere degli ammortizzatori sociali, lo aveva messo in cassa integrazione a zero ore.

A sole due ore dall’avvio dello sciopero della fame il compagno è stato letteralmente sobissato da numerosi attestati di solidarietà, di comunicati di Rsu e di singoli lavoratori tramite e-mail e sms.

Il nodo Pugliese della Rete28 Aprile per la democrazia e l’indipendenza nella Cgil con il compagno Di Leo avevano tentato ogni forma di mediazione sulla lunga vicenda su cui lo stesso G. Cremaschi (coordinatore nazionale della Rete) era stato costretto ad intervenire, prima che si giungesse a tale forma di protesta.

Oggi, nel prendere atto del risultato che la rivendicazione sembra aver prodotto, la Rete 28Aprile-Cgil Puglia auspica che i lavoratori della Natuzzi riescano finalmente a dotarsi di una rappresentanza sindacale unitaria forte e rappresentativa cosicché , con la necessaria determinazione ed in piena sintonia con le organizzazioni sindacali, possano seguire più direttamente le fasi della vertenza e si possa così evitare la perdita di centinaia di posti di lavoro.

I compagni della Rete28 Aprile-Cgil, seguiranno con attenzione l’evolversi della vicenda e garantiranno il pieno sostegno al compagno Di Leo, alla futura Rsu e alla intera vertenza che oltre allo stabilimento Natuzzi interessa un comparto ed un territorio già fortemente segnato da pesanti perdite occupazionali.

Rete 28 Aprile

Anonimo ha detto...

andate a lavorare sanguisughe!!!
perchè non vi mettete in proprio?
parassiti!!!
visto che siete così intelligenti e determinati apritevi una partita iva e sotto a lavorare!!!

Anonimo ha detto...

Ognuno ha diritto alle proprie opinioni,ma tu sei una palla di sterco.

Dedicato all'anonimo che mi precede.

Iva.

Anonimo ha detto...

Siglato l'accordo con Almaviva e Comdata

Call center, arriva l'integrativo

di Stefano Iucci

La contrattazione di secondo livello entra nei call center. Grazie agli accordi firmati la scorsa settimana con Almaviva e Comdata (in tutto 16.000 dipendenti: le due più grandi aziende italiane del comparto), e agli altri che saranno definiti nelle prossime settimane, l’80 per cento degli addetti del settore saranno coperti da un contratto aziendale.

“Certo, la strada da fare è ancora tanta, tuttavia questo è un risultato di grande rilievo – commenta Alessandro Genovesi, della segreteria nazionale della Slc –, se solo si considera che fino a un anno e mezzo fa tutti i lavoratori erano impiegati a progetto. Questi accordi sanciscono il passaggio alla seconda fase della nostra azione sindacale. Dopo una prima fase di lotta alla precarietà contrattuale (agevolata anche da alcune circolari dell’allora ministro Damiano e dalla Finanziaria del 2007, ndr), caratterizzata dalle stabilizzazioni, si arriva ora alla lotta alla precarietà salariale – cioè agli stipendi bassi – e a quella d’impresa”.

Su tutti e due i fronti l’accordo con Almaviva (di cui fa parte Atesia) consegue alcuni risultati importanti. Il passaggio volontario dalle 4 o 5 ore alle 6 ore di lavoro giornaliero per 4.150 lavoratori porterà a un incremento medio salariale di 220 euro al mese, cui va aggiunto anche il premio di risultato con un unico parametro di riferimento nazionale, così congegnato proprio per evitare forme di discriminazione e competizione tra i diversi siti e le diverse commesse, che non è il lavoratore a scegliere. Si alza anche il livello d’inquadramento di riferimento, che diventa ora il quarto, con un importante investimento, dunque, sulla qualificazione professionale.

Sull’altro versante, quello della precarietà della gestione d’impresa, da segnalare l’introduzione di una pianificazione certa di permessi retribuiti e ferie, prima gestiti a totale discrezione dell’azienda (e spesso usati come mezzo di controllo e consenso): l’accordo prevede, infatti, che almeno il 10 per cento della forza lavoro su ciascuna commessa ha diritto a usufruire di ferie e permessi, e l’unico criterio di assegnazione è quello dell’ordine di prenotazione da parte del lavoratore.

(www.rassegna.it, 27 maggio 2008)

Anonimo ha detto...

La lezione di Luciano Gallino
il lavoro non è una merce
il capitalismo va addomesticato

di Maria Letizia Pruna

È passato quasi inosservato un evento importante organizzato dal Centro Studi di Relazioni Industriali dell'Università di Cagliari: la Lectio Magistralis tenuta qualche giorno fa da Luciano Gallino, professore emerito di Sociologia all'Università di Torino. Si è trattato di un incontro prezioso, che ha sollecitato a riflettere con serietà su un tema accantonato da tempo se non proprio dimenticato, come ha ricordato Piera Loi, docente di Diritto del lavoro e direttore del Centro Studi di Relazioni Industriali: il lavoro non può essere considerato una merce, anche se viene scambiato all'interno di un mercato.

Luciano Gallino, che ha pubblicato di recente il volume Il lavoro non è una merce. Contro la flessibilità (Laterza, 2007), ha richiamato in primo luogo la Dichiarazione di Filadelfia del 1944 dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro, nella quale si affermava già 64 anni fa che, appunto, “il lavoro non è una merce”. Da allora, sia questo che altri organismi internazionali (come l'ONU e l'OCSE) hanno approvato risoluzioni e prodotto documenti riguardanti il lavoro che sono rimasti in larga parte disattesi o trascurati.

Dagli anni '80, il lavoro è diventato sempre più una merce. Certo è rimasto una merce sui generis, l'unica merce che ragiona, che possiede un'idea ben definita di ciò che può essere considerato equo e di ciò che non lo è (parola di Robert Solow, premio Nobel per l'economia nel 1987), e che non può essere fisicamente separata dal suo proprietario. E tuttavia una merce, sottoposta a condizioni impari di compravendita (chi ha più potere tra il datore di lavoro e il lavoratore?) e ad una sistematica e crescente sottovalutazione delle necessità di reddito, sicurezza, realizzazione umana e professionale, identità sociale.

A volte viene da chiedersi, come suggerisce con ironica amarezza Gianni Loy, Professore Ordinario di Diritto del Lavoro alla Facoltà di Scienze Politiche di Cagliari, se i lavoratori e le lavoratrici verrebbero trattati meglio se davvero fossero considerati una merce come le altre: come quelle che ad ogni trasferimento sono protette dalle scritte “fragile”, “maneggiare con cura”, “non capovolgere”, e da adeguate polizze assicurative. Nei tortuosi percorsi occupazionali di oggi, sempre più spesso connotati da interruzioni e passaggi non semplici né scontati da un lavoro ad un altro, da un mestiere ad un altro, da un orario ad un altro e in luoghi diversi, molti lavoratori e lavoratrici sono meno protetti e tutelati di una merce qualsiasi. Non si raccomanda di maneggiarli con cura, né si avvisa che sono fragili (e perfino unici e irripetibili).

Malgrado i ripetuti proclami e richiami politici e istituzionali, il lavoro è considerato sempre più apertamente (e lecitamente) una merce, cedibile in qualsiasi momento e condizione o acquistabile (a poco prezzo) nel momento in cui serve. Il delirio della flessibilità ha seminato insicurezza in ogni ambito della società senza migliorare i sistemi produttivi né la competitività delle imprese (che si gioca su fronti opposti, quelli della qualità e della stabilità del lavoro). È proprio sul facile e gratuito ricorso alla flessibilità che molte imprese fanno affidamento non avendo le capacità imprenditoriali di intervenire sui processi, sui prodotti e sui mercati.

Secondo Luciano Gallino, la globalizzazione dell'economia (e del capitalismo) si è rivelata la più potente e vincente politica del lavoro, in grado di stravolgere e spingere all'uniformità mondiale le regole del mercato del lavoro. Sono quindi le politiche internazionali del lavoro, gli accordi a livello mondiale, ad apparire oggi gli strumenti più idonei e la dimensione più adatta a contrastare l'insicurezza e le indecenti condizioni di lavoro di miliardi di persone. L'obiettivo è addomesticare il capitalismo, riconducendolo ad una regolazione sociale compatibile con una decorosa sopravvivenza dell'umanità.

Precari in Linea ha detto...

Troppo computer? Occhio all’esaurimento da 'tecnostress'
Adele Sarno


Ritmi frenetici, molto lavoro e una buona dose di computer. Pochi ingredienti ed è subito tecnostress. Ansia, fatica mentale, perdita della concentrazione e insonnia sono i sintomi principali di questo disturbo teorizzato per la prima volta negli Stati Uniti e studiato in Italia dal giornalista Enzo Di Frenna. Ebbene secondo l’indagine "Le professioni più tecnostressanti", condotta da Netdipendenza onlus (associazione no profit fondata da Di Frenna) in collaborazione con Assoexpo, Wireless e Pierre Communication, chi svolge un lavoro che lo tiene al videoterminale per troppe ore rischia di compromettere la propria salute. Tutti concordi i medici interpellati sulla ricerca: il tecnostress provoca ipertensione e può avere effetti sul cuore.

"Computer, tv e telefonini non ci lasciano mai e ci mettono in uno stato di attesa continua – spiega il professor Luigi Chiariello, ordinario di cardiochirurgia dell’Università Tor Vergata di Roma – questo però genera ansia. E più lo stress cresce più aumentano i rischi che corre l’organismo, in particolare arterie e sistema cardiocircolatorio".

Lo studio sulle professioni tecnostressanti. Trascorrere più di tredici ore al computer può favorire il tecnostress. La ricerca condotta da Di Frenna ha analizzato un campione di 200 professionisti impegnati in lavori legati alle nuove tecnologie. Tra le professioni prese in esame operatori di Ict (già analizzati da Di Frenna lo scorso novembre), giornalisti (soprattutto quelli web), analisti finanziari informatici, top manager, ip manager, sviluppatori web, pubblicitari, analisti contabili e operatori call center. A tutte queste categorie di lavoratori è stato chiesto quante ore passassero tra computer e telefonino di nuova generazione e, poi, di dare un punteggio ai tre principali fattori riconosciuti come causa del tecnostress: dover gestire informazioni eccessive, abuso degli apparecchi e fretta nell’esecuzione delle operazioni. Dalle risposte è emerso un dato rilevante, la maggior parte degli intervistati passa dalle 9 alle 12,5 ore al giorno. Al primo posto del podio gli operatori Ict (12,5 ore di media al giorno), stressati soprattutto dalle informazioni da gestire velocemente, al secondo i giornalisti che trascorrono 12,1 ore in media davanti a schermi di ogni tipo e al terzo posto gli operatori finanziari con 11 ore di media tra pc e blackbarry. Meglio i lavoratori del call center che passano mediamente solo 6,6 ore tra computer e telefono

Gli effetti sulla salute. Ansia, affaticamento mentale, attacchi di panico, depressione, incubi e momenti di rabbia improvvisa sono i principali sintomi del tecnostress. Proprio Di Frenna ha dedicato il sito Netdipendenza.it ai rischi di questo disturbo, ai quali però vanno aggiunti quelli che interessano il sistema cardiovascolare. “Lo stress in generale – conferma il professor Chiariello – può avere ripercussioni sul cuore e sulle arterie, ma quello legato a un’ubriacatura di bit è maggiore perché ai fattori che generano stress come in tutte le professioni, vanno aggiunti quelli legati al flusso di informazioni che si ricevono durante la giornata”. In pratica una mail che non arriva, un telefono che non suona o uno scambio frenetico di informazioni via sms generano tensione psichica. “Stare sempre in ansia – continua il cardiochirurgo – favorisce l’ipertensione e le sue conseguenze sull’apparato cardiovascolare.

"Lo stress in generale – conferma il professor Chiariello – può avere ripercussioni sul cuore e sulle arterie, ma quello legato a un’ubriacatura di bit è maggiore perché ai fattori che generano stress come in tutte le professioni, vanno aggiunti quelli legati al flusso di informazioni che si ricevono durante la giornata". In pratica una mail che non arriva, un telefono che non suona o uno scambio frenetico di informazioni via sms generano tensione psichica. “Stare sempre in ansia – continua il cardiochirurgo – favorisce l’ipertensione e le sue conseguenze sull’apparato cardiovascolare, come per esempio ictus e infarto. Inoltre è stato anche riscontrato che sulla predisposizione a disturbi del sistema cardiovascolare incide anche il tipo di personalità”.

I comportamenti umani sul lavoro, continua a spiegare l’esperto, possono essere divisi in due gruppi, il Tipo A e il Tipo B. I primi hanno una competitività spinta e diffusa, sono aggressivi e impazienti, i secondi invece hanno una competitività selettiva, sono pacifici e tolleranti. “Gli individui appartenenti al Tipo A sono più esposti allo stress, ai disturbi sia fisici sia psichici e sono maggiormente vulnerabili alle malattie cardiovascolari. Coloro che appartengono al Tipo B invece corrono un minore rischio di ammalarsi”.

Cosa fare per il tecnostress. Per prevenire stress e tensione l’indagine di Di Frenna illustra anche i suggerimenti degli intervistati: quasi sette persone su dieci puntano al relax legato alle attività sportive, dalla corsa, al nuoto, alle arti marziali. Mentre tre su dieci preferiscono concedersi momenti di pausa da dedicate alla meditazione, lo yoga o il training autogeno. E il 14 settembre Di Frenna invita tutti i tecnostressati d’Italia alla mini-maratona ‘Run for tecnostress’, che si svolgerà a Bracciano, alle porte di Roma. Un modo insomma per spegnere tv, computer e telefonini almeno per un giorno



03 Giugno 2008